¬ student – wearing (♠) - listening (♪) - who i am (★) Questione di ore e di secondi, contemporaneamente. Un tempo infinito e un battito di ciglia. Il tutto, ovviamente, per percorrere quei pochi, pochissimi metri che ci separavano. Per l’ennesima volta, in quei giorni, mi resi conto di quanto il tempo, appunto, fosse totalmente relativo. Tutto scorreva così in fretta da sparire, in un attimo; ma, al contempo, le cose si divertivano a rallentare il loro corso, provocando solamente quel dannato ed orribile senso d’ansia. Non era possibile che mi sentissi sempre così dannatamente in bilico tra pulsioni e pensieri opposti. Eppure, ormai, quella sembrava davvero essere diventata una costante. Avrei dovuto odiare prima di tutto me stessa, quella me tanto sciocca che permetteva che tutto questo accadesse. Invece, ancora più stupidamente, forse, mi ostinavo a gettare le mie colpe sugli altri. E, ovviamente, chi poteva mai essere il primo capro espiatorio?
Era forse così sbagliato, però? Pensateci. Davvero, in parte non potevo negare, almeno a me stessa, di essere responsabile… ma lui, lui non lo era più di chiunque altro, sottilmente parlando, anche? Era stato lui ad iniziare in me in quel cambiamento. E non parlo degli ultimi risvolti della questione. Fin dall’inizio, non si sa come o perché, aveva cominciato a modificare qualcosa, nel mio essere. Ecco, anche questa definizione non faceva che mostrarmi come stessi solo tentando di stornare tutto da me stessa. Volevo guardarmi da un’altra prospettiva, anche con quella storia della scissione… amando l’introspezione, pensavo proprio che questo potesse aiutarmi. Staccarmi in due parti separate, ognuna a sé, con i suoi problemi e tutto il resto. Osservare dal punto di vista di ognuna di queste me, guardando al bene e al male della cosa. Stupido e corretto allo stesso tempo. Sono sempre stata una persona analitica, con il pallino di cercare di esaminare le cose a fondo. Il problema, però, è che l’unica su cui avrei dovuto lavorare, prima di tutto, ero proprio io. Invece, ritenendomi da tempo immemore non dico perfetta, ma priva di cose da correggere o modificare, mi ero sempre limitata a fare questa operazione sugli altri.
O almeno, fino a quel momento. Mentre continuavo a procedere, in quel lasso di tempo tanto piccolo quanto infinito, finii per rendermi conto che, in tutto questo, ero forse stata persino egoista. Anche lui, non si sa come, era riuscito a salvarsi dalle mie analisi così spietate e taglienti. Per quanto mi infastidisse, avevo quasi automaticamente imparando a prenderlo così, come la sua natura gli diceva di fare. Certo, dapprima c’era stata quella storia del sentirsi tremendamente infastidita da ogni suo gesto, e, soprattutto, da quella sua dannata calma. Perché l’avevo fatto? Perché, invece di ribellarmi, come facevo sempre, avevo lasciato correre? Potevo convincermi quanto volevo di averlo fatto per la semplice constatazione di aver trovato un buon avversario, ma… doveva esserci dell’altro. Non è così facile convincermi, ecco. Tuttavia, è vero, le altre opzioni era così assurde e contro il mio modo di ragionare che erano state escluse a priori. Insomma, non ho mai creduto in cazzate come il colpo di fulmine o le simpatie spontanee… anche perché, davvero, con lui non era stato affatto così! All’inizio l’avrei davvero strozzato, dico sul serio. Lui e quel suo fare supponente e sarcastico, che, purtroppo, mi ricordava tremendamente il mio stesso atteggiamento, lui e quella sua calma totalmente fuori di testa, incomprensibile, ai miei occhi… quindi, sì, non c’era stato nulla di minimamente paragonabile al tanto famoso colpo di testa improvviso. Semplicemente, d’accordo, pur cercando di allontanarlo da me avevo solo ottenuto il risultato opposto… con mia grande gioia.
Avrei fallito anche questa volta, quindi? Mi chiedevo pure questo, avvicinandomi. Avanti, che altro avrei potuto fare? E’ chiaro che dovevo stornarlo da me, fare in modo che fuggisse, e, stavolta, non tornasse più. Il perché non mi sembra tanto difficile da capire. Non solo mi aveva ferita, ma… io stessa, molto stupidamente, non volevo ferire lui. O meglio, in questo, in realtà, avrei tentato. Anche solo poco prima, al telefono, l’avevo attaccato tanto acidamente per puro scopo difensivo, sì… ma in parte volevo anche punirlo per come lui aveva trattato me. Resta però sempre il fatto che la ragione per cui, soprattutto, desideravo allontanarlo, era lui stesso. Lui e il suo futuro, tutto quello che, ancora, lo aspettava. E’ vero, tecnicamente ero ancora aperta ad ogni possibilità, ma, in ogni caso, volevo preservarlo da tutto questo. Per quanto fossi incazzata, per quanto mi volessi convincere di odiarlo… non era affatto così. Anzi. Qualcosa di non ben definibile, che se ne stava nascondo nelle profondità della mia mente, mi diceva che la cosa migliore che potessi fare, non tanto per me, quanto per lui, era lasciarlo andare. Solo così avrebbe avuto la possibilità di salvarsi, almeno lui.
Lo so, lo so, continuavo a pensare in modo totalmente insensato e sciocco. Me ne rendevo conto, questo sì, eppure i miei pensieri continuavano a susseguirsi senza soluzione di continuità, passo dopo passo. Se non altro, tenevo gli occhi incollati alla ghiaia del sentiero, fissandomi a tratti la punta degli stivali. Tutto, ovviamente, pur di non guardarlo. Già il mio cuore aveva sobbalzato, al pari del mio stomaco, nel vederlo in lontananza, lì, in piedi, a calciare quegli stessi sassetti che ora stavo pestando. Adesso che ci pensavo… era lì, c’era davvero. Un po’ ironicamente finii per sorridere vagamente, almeno dentro alla mia testa, ragionando sulla cosa. Non era arrivato in ritardo. Era arrivato lì, prima di me. Certo, in tutto questo, c’era da dire che quella in ritardo ero io. In bilico tra il consapevole e l’inconscio, avevo appunto rallentato i miei movimenti, ripetendomi che lo facevo per il semplice scazzo di non volerlo vedere. Nessun commento, invece, sul fatto che, così, sperassi di evitare una sua assenza, e, dunque, il mio totale e definitivo allontanamento.
Questo sarebbe successo comunque, ovviamente, ma, con discreto masochismo, avevo pur sempre deciso di vederlo, ancora. Per l’ultima volta, però. Volevo essere categorica ed inflessibile su quella scelta. Avrei incontrato i suoi occhi, ancora, e da lì la cosa sarebbe finita. O almeno, sempre che quello che c’era lì, dentro di me, non gli somigliasse così tanto… ma perché preoccuparsi? Probabilmente sarebbe stato più giusto per tutti che sparisse, così come quello che c’era tra noi sarebbe sparito, seguendolo in fretta.
Ma ne ero davvero convinta? Non solo di quella prima decisione, voglio dire… essa era ancora lì che mi balenava nella mente, però, come un’idiota, non volevo risolvermi. Non ancora, almeno. Ma c’era, appunto, un’altra questione. Davvero tutto sarebbe svanito così? Davvero ci saremmo lasciati come se nulla fosse successo, buttando via ciò che avevamo avuto? Fu più forte di me. Per quanto odiassi fare ragionamenti del genere, tanto assurdi e smielati da apparire stucchevoli, quell’idea mi assillava. Dimenticarsi dell’altro, da quel giorno in poi, sarebbe stato come cancellare quello che, invece, sentivo. Mi mancò il fiato, a quella constatazione, ma ormai era fatta. Non potevo nascondermi dall’averlo ammesso. Certo, non sarei andata più avanti di così, questo era chiaro, ma… non potevo negare di provare qualcosa, per lui. L’avrei lasciato lì, tutto indefinito e sofferente, senza stare ad analizzarlo. Anch’esso avrebbe subito la sorte che per tanti anni aveva avuto il mio stesso essere; per ragioni opposte, stavolta, però. In ogni caso, questo significava solo una cosa: io non volevo cancellarlo.
Erano passati sì e no pochi istanti; così sembrava anche per quella parte di me che aveva paura di quel momento, paura di quando avrebbe davvero incontrato la sua figura. Il resto, però, percepiva quel tempo e quella breve camminata come qualcosa di eterno, che però, finalmente, era arrivato ad un termine. Come potevo essere terrorizzata ed impaziente allo stesso tempo? Che senso aveva la cosa? Tutta quella contraddizione… no, non ero io. Non volevo essere io!
Per quanto cercassi di sfuggirvi, però, ormai era fatta. Il mio sguardo, continuando a scorrere verso il basso, vide entrare, delicatamente, nel suo campo visivo, anche l’inizio della sua figura. Sussultai, di nuovo, stringendomi appena nel cappotto. Tenere il capo chino in quel modo non era da me, dannazione… dovevo affrontare anche questa situazione con polso ed orgoglio, lasciando che quelle due, sgradevoli sensazioni rimassero fuori.
Ancora stavo ragionando sulla cosa, però, quando lo sentii parlare. Nulla di più semplice, naturalmente… un saluto, nulla di più, nulla di me. Ma allora perché, per l’ennesima volta, mi sentii totalmente rivoltare, come se mi fosse appena successo chissà cosa? L’orgoglio mi disse di alzare quei dannatissimi occhi e fregarmene di paura ed ansia, perché lì, la vincente, quella dalla parte del giusto, ero io ed io sola. Ellie, invece, tentava di pigolare di avere bisogno di guardarlo… in un modo o nell’altro, assecondai quelle spinte, e, finalmente, sollevai la testa, puntando il mio sguardo direttamente verso il suo, con le labbra serrate in un’espressione seria e, speravo, totalmente insensibile.
Peccato, però, che quello che scorsi mi fece subito cambiare idea. Non eravamo ancora vicinissimi, né avremmo dovuto esserlo, ma i suoi occhi erano innegabilmente brillanti. Lucidi. Come se… d’accordo, non come. Stava male, o, perlomeno, era teso. Ed era colpa mia, dunque? Annaspai, rendendomi conto della cosa, per l’ennesima volta in bilico. Tra la preoccupazione e la tristezza, stavolta, ed un vago e crudele senso di soddisfazione. Io che non piangevo tanto, in quei giorni, o anche solo poco prima, non avevo fatto che spargere lacrime. E, qualunque fosse il motivo, lui c’entrava sempre.
“Mark…” mi decisi infine a mormorare, in risposta, sperando che non notasse quanto la voce mi tremava. “Non credevo davvero che…” cominciai, un attimo dopo, con fare sprezzante, cercando subito di colmare quella mancanza che avevo avuto nel saluto. Peccato, però, che mi persi, tra l’impaurito, il rattristato, e, d’accordo, l’emozionato. Il mio sguardo, infatti, non riusciva a non correre per il suo viso, notando quando ognuno di quei particolari gli fosse mancato. Strinsi le mani nelle tasche, tremanti anch’esse, gettando un’occhiata alle sue, invece. Chissà come o perché, qualcosa mi diceva che se solo le avessi strette buona parte di quel fremere sarebbe passato, o, comunque, avrebbe cambiato natura… “… Devi essere impazzito davvero, ecco.”