eloise hawking → student
wearing (♠) - listening (♪) - who i am (★) Per quanto apparentemente semplice e scontato, il succedersi degli eventi non lo fu affatto. Non nella mia testa, almeno. Nemmeno a posteriori, razionalmente, riesco a ricordare con assoluta precisione ogni cosa. Ci sono dei particolari, più che altro, che ancora continuano a ferirmi e farmi star male. Particolari che probabilmente non riuscirò mai a cancellare drasticamente dalla mia mente. Particolari che se ne stavano lì, ancora più forti in quel momento, continuando a pungolarmi, ancora ed ancora, facendomi notare l'assurdità della situazione.
Ma tentiamo comunque di andare con ordine, per quanto anche solo ritornare a seguire il filo dei miei pensieri, i pensieri di quel giorno, mi faccia un male immenso. Stavamo litigando, pesantemente, com'era in fondo giusto che fosse. Le indoli di entrambi non potevano permettersi altro. Nessuno dei due si sarebbe arreso, nessuno dei due avrebbe lasciato che l'altro prendesse in mano la situazione. E' molto probabile che non lo ripeta mai più, ma, quella volta, odiai davvero il mio orgoglio. Era -anche- lui ad impedirmi di comportarmi in modo diverso. Per orgoglio, tra le tante cose, lo allontanai da me. Non vedevo altra soluzione. Io non potevo mostrarmi debole. Non potevo chinare il capo, comportarmi da donnetta indifesa e... rifugiarmi tra le sue braccia. Soprattutto perché era ciò che volevo fin dal primo momento, fin da quando Mark aveva fatto il suo ingresso in casa. Era stato alquanto difficile resistere all'impulso di fiondarmi nel suo abbraccio, convinta com'era, una parte della mia mente, della consolazione della cosa. Era del tutto irrazionale, naturalmente, come idea, ma inizialmente il solo pensiero mi aveva fatta sentire appena meglio. Certo, è anche vero che c'era tutta una controparte, in questo, che mi diceva che, invece, la cosa sarebbe stata solo l'ennesimo atto di debolezza nei suoi confronti. Debolezza che, ormai, doveva avermi sopraffatto praticamente del tutto...
ma ormai questi pensieri erano spariti. Svaniti così, in un istante, nel momento stesso in cui lui aveva cominciato a rispondere alle mie accuse. Accuse, poi. Forse ero stata un tantino acida e forse un po' cattiva, ma come avrei dovuto comportarmi? C'ero io in quel casino, c'ero io... e lui. Per una che ha sempre tutto sotto controllo nei minimi dettagli una cosa del genere è totalmente destabilizzante. Ma non solo. Cazzo, come vi sentireste voi? Genitori, così, da un giorno all'altro. Anche solo il pensiero mi faceva venire letteralmente i brividi. Non poteva essere. Non io. Quello era sempre stato l'ultimo dei miei pensieri. Io... io non volevo figli. Mai. Non ne avrei mai voluti. Ora, a maggior ragione, cosa sarebbe successo? Per quanto mi sentissi adulta ed indipendente, del tutto in grado di badare a me stessa... non potevo essere una buona madre. Anzi, non potevo nemmeno essere una madre e basta. Non ero tagliata per quel ruolo, né mai lo sarei stata, probabilmente.
Ma su questo avevo riflettuto. Un pochino, ma l'avevo fatto, dato che, in effetti, fino a quel momento non avevo mai davvero formulato la cosa in quel modo. Ma adesso il problema non era solo questo. C'era altro, altro che si andava a sommare a tutta questa merda e mi soffocava praticamente del tutto. Se prima avevo sperato di avere la sua comprensione, o, almeno, il suo appoggio... adesso non riuscivo nemmeno a guardarlo. L'avevo sentito forte e chiaro dirmi quelle cose, spiattellarmi in faccia come la colpa, secondo lui, fosse solo mia. Ma questo forse era il meno. C'era astio nelle sue parole, rancore e... freddezza. Forse a farmi scoppiare fu proprio questo. Come poteva davvero sentirsi tanto distaccato e distante? La cosa, dannazione, lo riguardava! Riguardava lui quanto me!
Il signorino, invece, era convinto di essere l'unico nei casini. Pensava che tutto fosse arrivato al capolinea solo per lui, mentre io... io come dovevo sentirmi? D'accordo, ero incazzata, ma non c'era nient'altro. Sembrava quasi che per me non sarebbe cambiato nulla. Non potevo credere che la pensasse davvero così. Insomma, tra tutti proprio... proprio lui? Questo significava solo una cosa: in tutto quel tempo non avevo mai capito nulla. Quello che Mark rappresentava, nella mia testa, doveva essere solo frutto della mia immaginazione. Non c'era nulla di diverso, di veramente distinguibile, in lui. L'amara realtà si era manifestata tutta in un colpo: era come tutti gli altri. Anche lui era come tutti gli altri. Non gli rimproveravo l'incazzatura, la paura o tutte queste cose. Mi sentivo così pure io, questo era chiaro. Ciò che mi faceva soffrire era la sua mancanza di comprensione. Ora non ero più nulla. Ero diventata semplicemente qualcosa in più da odiare, l'ennesima fonte di rancore e dolore.
Per quanto mi sforzassi, per quanto fossi arrabbiata, però, non riuscivo a vederlo nello stesso modo. C'era sempre qualcosa a bloccarmi, qualcosa che mi diceva che no, le cose non potevano seriamente andare così. Mi odiai, in quel momento, mi odiai moltissimo. Ero debole. Debole e stupida. Non avrei nemmeno più dovuto guardarlo in faccia, altroché lasciare che una parte della mia mente tentasse persino di giustificarlo! Ma non c'era nulla da fare. Volevo attaccarmi a lui. Non volevo che mi lasciasse, che mi abbandonasse. Non volevo davvero che uscisse da quella porta, andandosene per sempre dalla mia vita. Naturalmente, però, tutto era solo nella mia testa. Razionalmente non l'avrei ammesso nemmeno a posteriori. Non l'avrei ammesso mai e poi mai, punto. Quell'idea se ne sarebbe rimasta semplicemente lì, a vagarmi per la mente, senza che nessuno ne sapesse nulla. Forse era questa la via giusta. Per tutto, non solo per lui. Cancellare ogni cosa, ogni prova. Cancellare tutto ed andare avanti.
Peccato, però, che in ballo ci fosse sempre quella stupida fragilità. Ero in parte consapevole dell'impossibilità della cosa. Insomma, razionalmente quella era la decisione migliore. Per me, per lui... persino per quella cosa, perché di chiamarla in altro modo proprio non me la sentivo. Nessuno ne avrebbe sofferto. Forse. O almeno, non il diretto interessato. In fondo... non era in grado di sentire nulla. Sempre nella sfera della possibilità. Ma io? … Non riuscivo e non volevo riuscire a pensarci davvero. Io come mi sarei sentita? Quel senso di colpa che già adesso, soffusamente, andava a pizzicare qualcosa, dentro di me... si sarebbe accresciuto? Domanda scontata, chiaramente. Certo che sarebbe stato così. Qualcosa mi diceva che quell'idea mi avrebbe tormentato per sempre. Così come il ricordo di lui.
Già, lui. Di colpo non sapevo nemmeno più come sentirmi, nei suoi confronti. Lo odiavo, sicuramente in quel momento lo odiavo. Come aveva potuto dirmi quelle parole? E il suo sguardo... non c'era solo tristezza e rabbia in quegli occhi. Non l'avevo mai visto così. Non mi aveva... non mi aveva mai guardata in quel modo. Anche adesso avevo paura a rivolgermi nella sua direzione. Incontrare di nuovo quegli occhi così scontrosi e distanti... non ero del tutto sicura di poterlo sopportare. Lui. Lui che mi trattava così. No, non era possibile. Irrazionalmente continuavo a dirmi che la cosa non era nemmeno pensabile. Non lui. Non... Mark. Invece, istante dopo istante, l'idea che tutto fosse sempre e solo stato nella mia mente prendeva piede. Come avevo potuto essere così stupida? Come avevo potuto anche solo credere che lui fosse davvero... diverso?
Oh, sì, in effetti diverso lo era parecchio. Si stava dimostrando tale. Diverso da come era sempre apparso, volente o nolente, nella mia testa. Quante cose avrei voluto urlargli in faccia...! Continuare a sfogarmi, ad accusarlo, fare tutto quello che lui aveva fatto con me. Lo so, è stupido e non dovrei nemmeno pensarlo, tanto è banalizzato, ma avevo davvero sentito qualcosa incrinarsi, dentro di me, fin dal primo momento. Aveva detto che ero stata io l'artefice di tutto. Non tanto per la cosa in sé, quanto... quello che era successo. Sebbene fossero ormai passati mesi, il tutto era ancora vivido, nei minimi particolari, nella mia mente. Probabilmente è sciocco ed ingenuo, ma il solo pensiero di quella notte mi metteva piacevolmente i brividi. Ogni tocco, ogni sensazione provata era sempre lì, ad accompagnarmi. Ma erano bastate poche sue parole per banalizzare e rendere tutto odioso. L'errore di una notte. Una notte come tante altre. Una notte idiota, in cui io mi ero comportata da sprovveduta. Dovevo sempre essere stata questo, per lui. Un divertimento passeggero, un'idiota che si era lasciata trasportare e che lui avrebbe utilizzato, come trastullo, fino al momento buono.
Nulla a che vedere con quello che invece si profilava davanti ai nostri occhi. Se, fino a quel momento, la parola futuro non aveva fatto che emozionarmi e creare in me speranze positive, adesso... adesso non riuscivo neanche più a formularla. Qualunque fosse stata la scelta, la decisione... qualunque cosa mi passasse per la testa, ora, non c'era futuro. Tutto era nero ed opprimente. Cosa sarei diventata? Avrei dovuto abbandonare tutto, caricarmi di un peso che non avrei desiderato neanche una volta realmente cresciuta, e... e poi cosa? Cosa sarebbe successo? Già mi vedevo, totalmente abbruttita da quell'abbattimento, abbruttita nell'anima, nei pensieri. Non sarei mai stata veramente una madre. Quel ruolo non mi si addiceva. Quel ruolo... non era da Eloise.
Ed Ellie? Ellie dove finiva in tutto questo? Ancora non l'avevo capito, o almeno, non lo capii fino a quando quella scena non si presentò davanti ai miei occhi. Avevo appena finito di sbraitargli addosso, com'era giusto che fosse, gli avevo urlato di andarsene, dato che non sembrava aver voglia di fare altro. Ma mai, davvero, mai mi sarei aspettata di vedere qualcosa del genere. Tutto accadde a rallentatore, o se vogliamo, troppo in fretta perché potessi davvero fare qualcosa. Mi ero di nuovo voltata, o almeno, in parte l'avevo fatto, perché non potevo sopportare la sua vista. Eppure con la coda dell'occhio, per quanto furente e ferita, non riuscivo a non guardarlo. Per una frazione di secondo i nostri occhi si incontrarono. Lo vidi, lo vidi benissimo che era sul punto di scoppiare, a sua volta. Per qualche momento quasi mi convinsi che si sarebbe alzato e avrebbe fatto l'unica cosa che poteva fare: smetterla di insultarci a vicenda e... ricominciare a ragionare.
In effetti, si alzò. Si alzò, dopo quello sguardo carico di accusa e di dolore e sparì. Così, semplicemente, come se la cosa fosse la più naturale del mondo. Stava fuggendo. Fuggiva esattamente come avevo fatto io tantissime altre volte. Ero paralizzata, non riuscivo nemmeno a pensare. Fu tutta questione di pochi secondi, ma, se mi fossi riscossa da quell'orrendo torpore, avrei sicuramente potuto fare qualcosa. Invece eccomi lì, immobile. Impotente. La porta sussultò, dietro di lui, e io feci lo stesso.
Se n'era andato. Se n'era andato e io non avevo fatto nulla. Forse, anzi, probabilmente avrei dovuto rincorrerlo. O almeno, l'avrei fatto, se l'orgoglio non mi avesse frenata. Io l'avevo istigato a fuggire. Io l'avevo schernito. Io... io lo odiavo, dannazione! In quel momento lo odiavo! O forse... o forse odiavo me stessa, detta in modo molto più palese. Magari era davvero tutto un incubo. Mark non era veramente uscito da quella porta, senza nemmeno voltarsi, senza nemmeno dire una parola...
il silenzio, però, mi perforava le orecchie molto più delle urla di poco prima. Era successo. Era successo davvero. Ancora una volta, in vita mia, ero rimasta sola. Anzi, una vocina, nella mia testa, diceva che sola non lo sarei stata. Mai più. Avevo voglia di gridare, di strapparmi dalla testa quei pensieri tanto funesti e pesanti. Non potevo farlo, però. Non potevo permettermi di essere così debole, così schifosamente... umana. Eppure, non riuscii a resistere. Quel grido che cominciava già a fuoriuscire dalle mie labbra, inizialmente, mi sembrò qualcosa di totalmente esterno alla mia stessa persona. Era ancora sottile, agitato, qualcosa di tremendamente fastidioso. Barcollai fino in camera, affondando il viso contro il cuscino. Se solo fosse bastato quello, a smorzare tutto ciò che mi ronzava in testa, così come stava spegnendo le mie urla e le mie lacrime... non avevo più niente da perdere, ormai. Avevo già perso ogni cosa. La mia vita, me stessa e... lui. Persino lui.
Capita a volte di sentirsi per un minuto felici. Non fatevi cogliere dal panico: è questione di un attimo e passa.Code ©
Giads.
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