#when you're through with life and all hope is lost.., mart 11.12.2007 / pomeriggio

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Working on a dream
view post Posted on 13/11/2011, 23:03





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Mark Pace
Quella giornata era decisamente partita col piede sbagliato: sveglia mancata, vestirmi di tutta fretta scegliendo le cose a caso nella penombra della camera, correre a dare un esame di cui per una volta mi sembrava davvero di sapere per poi scoprire che ”il professore era ad una conferenza a Vancouver, si scusava molto ma gli era stato impossibile avvisare prima” .
Certo! Una conferenza si è invitati il giorno stesso, non con settimane di anticipo, e sicuramente lui non aveva tempo per mandare o far mandare una mail ai candidati con il reinvio dell’esame, troppa fatica!
In fondo noi eravamo solo stupidi automi che non dovevano fare altro in vita loro che studiare: noi eravamo subordinati a loro e dovevamo accettare qualsiasi evenienza, mentre loro, per qualche titolo sul curriculum, potevano fare di noi i loro schiavi adoranti.
Sinceramente, ero sorpreso che non ci avessero ancora fatto intonare cori di giubileo attorno ad un docente! Qui le gerarchie era se possibile anche peggio che nel mondo fuori da quelle mura. Andando ad una università di Brooklyn uno si aspetta che almeno certi favoritismi non ci siano, ma no, sono sicuro che in fondo mi sbagliavo io: come potevano esserci differenze se a parità di errori uno studente passava e l’altro no? Sicuramente non poteva dipendere da amicizie tra genitori, no di certo.
E tutto questo era aberrante se si pensa che eravamo alla facoltà di giurisprudenza, dove la giustizia doveva sempre non trionfare!
Lo so, ormai dovrei essermi rassegnato all’ida che giustizia a questa terra non esiste, ma, che volete che vi dica, forse sono solo uno sciocco romantico che crede ancora a certi valori…
Non volevo rassegnarmi a quella realtà ed ogni volta rimanevo un po’ più deluso… Quella mattina era l’ennesimo esempio. Probabilmente la reazione era stata ampliata dal fatto che avevo rischiato per due volte di rimanere incastrato nelle porte della metro pur di non perder tempo, che ero vestito in modo che giudicavo osceno e che la testa mi scoppiava per il brusco risveglio, ma rimaneva il fatto che quelle idee e quelle sensazioni erano pressoché perenni.
A dire il vero era dalla sera prima che mi sentivo un po’ giù di morale. Avevo ricevuto una chiamata dalla madre che mi dava notizia di qualche lieve peggioramento nella salute di mia nonna… Non avevo mai sperimentato la morte in vita mia, non ancora per lo meno, ed il solo pensiero di perder qualcuno di caro mi atterriva.
Come avrei reagito? Insomma, non pensavm di esser pronto a sopportare una perdita… per di più con tanta distanza tra me e loro. Da quanto non rivedevo la mia famiglia? Due anni? Mi sembrava ieri che li avevo lasciati ed allo stesso tempo i ricordi di quel giorno mi sembravano tanto antichi da annoverarli tra quelli di decenni fa. Mia madre mi aveva rassicurato: non era nulla di grave, stava pur sempre bene… Eppure una realtà era innegabile: gli anni stavano scorrendo ed io mi perdevo dei momenti con loro nella speranza di appagarli di soddisfazioni che forse non sarei mai stato in grado di dare loro.
La notte prima, addormentandomi a fatica con questi pensieri, avevo quasi rischiato di sentir scendere nell’oscurità della mia stanza, due lacrime sulla mia guancia… Lì nessuno m’aveva visto… ed il mio cuscino non poteva certo raccontarlo.
Se non altro, in tutto quello schifo di giornata, c’era un rischiaramento: dovevo vedere Ellie verso le tre e lei mi metteva sempre di buon’umore.
E’ incredibile il potenziale di energia che ha quella ragazza: riesce davvero a farmi sentire meglio, a scacciare i pensieri negativi, almeno per un po’ dalla mia mente…
Mi stavo avviando da lei in quel momento, consapevole di essere in ritardo, ma senza la forza di correre, avendo le gambe praticamente in via di congelamento.
D’altra parte ormai lei forse si era abituata ai miei ritardi dopo quei mesi di conoscenza: era davvero un record per me arrivare con solo cinque minuti di attesa! Non lo facevo di proposito, semplicemente io ed il tempismo non andavamo d’accordo…
Camminando mi ricordai di un giorno, circa un mese prima, in cui le parti erano state ribaltate… Lei aveva appena subito un trauma ed era venuta da me, decisamente scossa. Era bastato poco perché mi raccontasse tutto e il consolare lei aveva avuto una funzione catartica anche su di me, perché da quel giorno avevo aggiunto un tassellino della mia fiducia in lei. Ci avevo messo un po’, ma alla fine sembrava che avesse dimenticato quell’infelice incontro con la possibile gemella. Ricordo che mi aveva sorpreso il suo saluto: mi aveva abbracciato forte ringraziandomi e poi senza quasi darmi il tempo di replicare si era fiondata dentro al portone di casa.
Ero rimasto sorpreso al momento: per quanto fossimo amici non eravamo mai arrivati ad abbracciarci, quando con altre persone mi capitava molto più frequentemente e quasi non vi ponevo attenzione. Insomma, la nostra amicizia era.. era… strana. Non saprei come definirlo, non eravamo due persone timide, ma chiuse sì.. E la chiusura di uno si rinfrangeva sull’altra, a tal punto che gesti spontanei che con persone più estroverse mi sarebbero risultati banali,ne risultavano evidenziati. Insomma, Ellie non era certo l’unica amica femmina che avevo.. C’era anche Martha e di certo non avevo il conto di tutte le volte in cui ci abbracciavamo… Praticamente ad ogni incontro… E poi c’era Grace e, anche se con più moderazione, lo stesso succedeva con lei.
Solo con Ellie era differente. Non manifestavamo mai la nostra amicizia, il nostro affetto.
Preso da questi pensieri poi, la vidi all’angolo di un incrocio, dove avevamo stabilito il punto di ritrovo, ferma in piedi osservando distratta la gente che le scorreva davanti: un espressione di disgusto, una di assenso, era molto facile capire come le giudicava.
Sorrisi appena alla vista di una smorfia che fece ad un gruppo di ragazzette di appena quattordici anni in abiti un po’ osè e sbucandole di fronte commentai: ”Sì, erano un po’ esagerate, ma quella smorfia forse era eccessiva. Sii più indulgente.”
Cosa credevate? Che avessi perso tutto il mio fantastico humor inglese per colpa di una arrabbiatura? Ve l’ho detto, Ellie mi aiutava molto facilmente a dimenticare.
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view post Posted on 14/11/2011, 14:06
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Eloise Hawking
Cosa diavolo mi era passato per la testa quella mattina, quando avevo aperto l'armadio? Non che di solito perda ore in cose del genere, anzi, la tecnica è arraffare la prima cosa che mi capita sotto tiro, ma... a questi livelli non era mai successo! Abbassai lo sguardo per qualche secondo, lanciando un'occhiata distratta alle mie stesse gambe. Non mi sarei stupita se, entro sera, me le fossi ritrovate in via di congelamento. 'Da amputare, sono da amputare!' già sentivo dire qualcuno, all'ospedale o dove, in caso, mi avrebbero portata. Passare il resto della vita con due moncherini al posto della gambe era davvero una prospettiva orribile, ma c'era da dire che me l'ero cercata.
E poi, d'accordo, lo ammetto. Non è che mi fossero cadute in mano quelle calze coordinate alla gonna e a tutto il resto. O meglio, sì, era stato un pensiero praticamente fulmineo ma, dopo, per abbinare il resto, avevo perso la bellezza di un quarto d'ora, o giù di lì. Esatto, è pazzesco! Io che spreco così tanto tempo per fare una cosa cretina come scegliere i vestiti! Io che mi sento quasi in ansia al pensiero di essere fuori posto o... ah, basta, non voglio approfondire il discorso. Non mi appartiene ed è da cretini.
Cosa c'è? Non sto divagando! … Vi sembro forse poco credibile? Non sto assolutamente cercando di sviare! Anche perchè... andate al diavolo! Procediamo per gradi. Dicevo che, appunto, mi stavo congelando. Fino a quel momento non me n'ero quasi accorta, o quasi, anche perchè avevo passato buona parte della mattinata in aula. Non c'era certo caldo, dato che nei corridoi avrebbero potuto installare una pista da pattinaggio, ma, dopo un po', al chiuso e con tutte quelle persone, volenti o nolenti si cade nell'effetto stalla. Quindi, sì, diciamo che non mi ero nemmeno resa conto di quanto la mia scelta fosse stata stupida. Per altro avevo finito per distrarmi, spesso e volentieri, ritrovandomi scrittine incomprensibili ai lati del quaderno, nonché gomitate da parte di Priscilla, una delle mie amiche e compagna di corso, e domande del tutto controproducenti. Vi sembra che si mettesse a chiedermi dove avevo la testa?! Voglio dire... non aveva senso! Ero distratta, sì, ma contro la mia volontà. E... risponderle non rientrava certo nella lista delle cose da fare.
Così, in un o nell'altro, avevo eluso le sue frecciatine, cercando invece di riconcentrarmi sulle lezioni. In realtà erano state una noia pazzesca, anche perchè, davvero, per una volta non riuscivano proprio a prendermi. D'accordo, in realtà erano qualcosa come due settimane che andava avanti così, ma io speravo sempre in un qualche, umh, miglioramento. Insomma, non sono mai stata una fancazzista, ecco. Pur avendo le mie discipline preferite, da quando ero entrata all'università, in generale, tutto si era fatto più interessante. Volevo davvero rendere mie tutte quelle cose, mi piaceva ascoltarle ed apprenderle. Va da se, quindi, che il mio atteggiamento, a lezione, fosse sempre impeccabile. Distrarsi sarebbe stato stupido e...
Controproducente. Bel termine, questo. Diciamo pure che si adattava perfettamente alla situazione. Tutto quello che succedeva nella mia testa, tutto quello che da parecchi giorni continuava ad agitarmi ed infastidirmi era stupido, stupido ed insensato. Per non parlare del fatto che, ogni volta che mi sorprendevo a fare certi pensieri, non solo più li sopprimevo, più tornavano fuori, ma mi sentivo persino imbarazzata fin nella punta dei piedi. Neanche fossi una stupida tredicenne in preda... in preda agli ormoni! Uno, non era possibile. E due... queste cose non fanno per me! Ricordate? L'insensibile, la stronza, la sarcastica... ecco, ci siamo già capiti. Io... non sono e non voglio essere così. Non voglio avere nulla a che fare con certe cose!
Non ci sto girando intorno, piantatela! Semplicemente... io stessa non volevo nemmeno pensarci, capite? Era una cosa fuori di testa, era una cosa del tutto non programmata... non me lo potevo nemmeno permettere! Per non parlare del fatto che, in un modo o nell'altro, non mi sentivo, come dire?, pronta. Anche perchè, in fondo, non mi succedeva qualcosa del genere da tanto, troppo tempo tempo. O, più semplicemente, non mi era mai capitato esattamente così. Di cose da raccontare ne avrei svariate, ma mai una è stata uguale ad un'altra. E in questo caso...
Va bene, va bene, ci rinuncio! Erano giorni e giorni che mi lambiccavo il cervello sulla cosa. Anche solo il pensiero di lui mi faceva sorridere e finivo per ritrovarmi concentrata su particolari del tutto assurdi, ricordando anche solo parole o semplici gesti. Insomma, nel complesso, mi sentivo dannatamente strana. Non potevo imbarazzarmi per un nonnulla, non potevo sentirmi felice per delle cazzatine. Ma soprattutto... non poteva piacermi!
Ecco, contenti? L'ho detto! Era questo il punto. Per quanto, chiaramente, non ne avessi fatto parla con nessuno, il tutto era decisamente inequivocabile. Certo, non ero mai arrivata a tali livelli di stupidità, se non, appunto, quando avrò avuto sì e no tredici anni... ma allora, dannazione, ero una completa idiota! Chi non lo è all'inizio dell'adolescenza? Sapevo benissimo di essere cresciuta in tutti i sensi da allora, dunque... ripeto, non aveva senso che mi sentissi così. Non potevo emozionarmi per ogni singola cosa, né farmi viaggi del genere. Semplicemente, dovevo piantarla ed andare avanti. Non avevo alcuna intenzione di rovinare la nostra amicizia, che, altrettanto assurdamente, non faceva che rafforzarsi di giorno in giorno. Non avevo alcuna intenzione di farmi mettere i piedi in testa da uno stupido... da uno stupido sentimento! Anzi, forse questa è una parola grossa. Ero... ero infatuata, va bene? Non so come o perchè, ma era successo.
Peccato che, adesso, non potessi nemmeno guardarlo in faccia mentre parlavano, senza finire per concentrarmi un po' troppo su quegli occhi chiari, senza stare a notare ogni singola increspatura delle sue labbra, senza osservare tra il divertito e l'intenerito quel profilo apparentemente imperfetto che però, ai miei occhi, aveva un che di dannatamente magnetico. Devo forse andare avanti? Devo rendermi ancora più patetica e ridicola? Devo... devo fare nomi? Dio, quanto siete infantili! Di chi mai poteva trattarsi?...
Rabbrividii, facendo qualche passo sul posto, stiracchiandomi appena, tutta intirizzita. Mi sarei bevuta tre caraffe di caffè bollente, come minimo... ed anche una cioccolata, sì! Il cielo era preoccupantemente bianco. Da lì a poco sarebbe nevicato, non c'erano molti dubbi. Erano giorni che i meteo non facevano che ripeterlo, ma, per ora, non era ancora sceso nessun fiocco. Meglio così, ovviamente, ma non saremmo scampati a quel freddo polare, in tutto e per tutto, ancora per molto. Per distrarmi dai miei stessi pensieri, cominciai ad osservare la gente che passava. La strada era ovviamente più che trafficata, ma era divertente concentrarsi ora su uno, ora su un altro. Per quanto cercassi di mantenere un'espressione neutra, probabilmente, al solito, quello che mi passava per la testa si rifletteva sul mio stesso viso. Non che mi creda superiore al resto del mondo... va bene, va bene, grande cazzata. Nel mio subconscio -ma nemmeno così tanto in profondità, in realtà...- non posso fare a meno di ritenermi molto più in alto, rispetto alla maggior parte della gente.
Tanto per confermare la cosa, ovviamente, sentii delle risatine ed una zaffata di profumo passarmi accanto. Non mi girai nemmeno, ma aspettai che quattro teste ridacchianti e ben poco coperte mi superassero. Stupide ragazzine! Quanto cavolo erano infantili? Per non parlare del fatto che, accorciando ancora un po' l'orlo di quelle gonnelle, si sarebbero ritrovate a mostrare le tonsille a mezzo mondo...! Un'espressione di stizza mi si dipinse sulle labbra e... “Sì, erano un po’ esagerate, ma quella smorfia forse era eccessiva. Sii più indulgente.”
Quasi sussultai, nel sentire la sua voce, per poi rivolgermi nella sua direzione, guardandolo fintamente scocciata. “Esagerata? Io? Ma quando mai! Sono miss equilibrio, cosa credi?” mi lamentai imperiosamente, arricciando nuovamente le labbra in un sorrisetto a metà tra l'ironico e lo scocciato. Ben presto, però, finii per sorridere e basta, osservandolo. Al diavolo le bambinette e tutto il resto di quelli che passavano! Avevo ben altro a cui... emh, pensare. Non ve l'avevo detto? Stavo aspettando Mark, sì.
“Ciao comunque, eh.” finsi di rimbeccarlo, incrociando le braccia, mentre, un attimo dopo, cominciavo ad incamminarmi al suo fianco per il marciapiede affollato. “Come è andato l'esame?” Cosa c'è? Non potevo nemmeno informarmi? Non potevo nemmeno continuare a guardarlo con la coda dell'occhio, cercando di non sorridere palesemente, tentando di stare il più attenta possibile, provando in tutti i modi a... basta, se non avete capito sono problemi vostri!
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view post Posted on 14/11/2011, 22:07





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Mark Pace
Avevo stabilito che era giunto il momento della giornata di chiudere con tutto ciò che era successo e concentrarmi solo su quegli attimi, giusto? Bene, quindi l’unica cosa da impormi era cercare di rimuovere dalla mente il piccolo particolare che… continuavo a pensare a quello che mi era successo!! E non solo quel giorno, ma perennemente!La mia vita era una costante china discendente in cui andavo sempre più affondando senza possibilità di riemergere. Prendiamo l’università: avevo deciso di venire qui perché l’America significava novità, speranze, soldi, quello che volete; e nel momento stesso in cui il mio piede aveva toccato la terra di quel continente avevo iniziato a percepire la mancanza di tutto ciò che si ricollegava alla mia Inghilterra. Lo ammetto sono legatissimo a quella che i Romantici definirebbero trionfalmente patria. Non per valori, politica (tsk, bella battuta!), vita o quant’altro… ma per i ricordi che sono legati ad essa. Non è perfetta, ma è la sua imperfezione, la sua peculiarità, la sua stranezza rispetto a tutti gli altri Paesi a renderla tale. Insomma, abbiamo la sterlina,viaggiamo a sinistra in auto, cose che non hanno totalmente senso ma che nel loro piccolo sono essenziali per me.
Mi hanno sempre fatto credere di potermi distinguere dagli altri. Del resto, anche nel piccolo paesino in cui son cresciuto era ben facile emergere… ero un ragazzo intelligente e su una scuola di poche centinaia di studenti fai presto a farti notare. Venire negli Usa ha significato rinunciare anche a questo, a quel primato. Sei uno dei tanti che ci provano e hai la costante sensazione di stare per fallire. Sono qui da due anni giusto? E vado all’università da due anni… E passo metà del mio tempo a pentirmi di questa scelta; per cosa? Se già era sbagliato mollare prima ora lo sarebbe ancora di più: avrei perso tempo, soldi, fiducia in me stesso e - d’altro canto – la fiducia anche di quelli che laggiù da quella patria si aspettano qualcosa da me.
Siamo sempre lì: non voglio mai deludere nessuno e per questo finisco per non esser mai soddisfatto di niente.
Mi chiedevo cosa c’era di buono in tutta la mia vita lì, cosa mi era successo di buono da quando ero lì.. A dire la verità, due risposte mi vennero: avevo trovato degli amici. Sì lo so, Richie è strano, ma alla fine gli sono davvero legato, forse anche perché siamo opposti per molti versi. Prende tutto alla leggera, ma so che non è così veramente. Poi… poi ora c’era Ellie. In quegli ultimi passi verso di lei mi risuonarono nelle orecchie le parole del mitico Freddie, dritte dalle cuffiette del mio cellulare… Certo, quando tutto va male gli amici restano al tuo fianco, diceva lui. Non sapevo se quella definizione poteva essere espansa a tutti, ma sicuramente si adattava a lei alla perfezione.
A dire il vero lei non aveva mai fatto granché, più che altro perché io non le avevo mai davvero parlato dei miei problemi… Sì, tutta colpa mia e del mio carattere riservato.
Avvicinandomi però, quel giorno, sentii davvero voglia di parlarle, di smetterla di recitare la parte di quello a cui va sempre tutto bene, che resta sempre terribilmente calmo e non si preoccupa di nulla. Avevo anche io i miei problemi e la questione era normalissima, non dovevo vederla come un demerito giusto?
Naaa, tanto sapevo che appena sarebbe arrivato il momento opportuno avrei finito per tenere la bocca chiusa come sempre: era più forte di me.
Mi tolsi le cuffie dalle orecchie e commentai il suo sguardo, ricevendo subito una risposta tagliente. Poco male, un secondo dopo mi stava sorridendo: eravamo alle solite insomma… scherzare, ironizzare, dire una verità scomoda alleggerendola con un sorriso.
”Miss equlibrio? Dove? Mi prendi in giro?” dissi con un lieve sorriso a mia volta sulle labbra.
Non mancò molto perché mi rimproverasse il mancato saluto iniziale con aria fintamente offesa… Oh d’accordo, avevo saltato quella piccola formalità, ma tanto non pensavo ce ne fosse bisogno… Insomma, i saluti nel loro piccolo sono il massimo esempio dell’assurdità umana; perché stringere la mano ad un perfetto sconosciuto per esempio? Segno di pace? Perché? Mica gli sparerei in faccia! E’ paradossale come ci portiamo dietro convenzioni di secoli fa…
Ad ogni modo decisi di fare il gentile e quindi con tono fin troppo accomodante le risposi: ”Ciao comunque, Ellie.”.
Sì d’accordo, avevo voglia di scherzare, far l’idiota e non pensare per nulla a niente e sapevo che lei era una delle poche persone con cui potevo davvero farlo, perché intuiva al volo quando scherzavo e non se la prendeva mai veramente.
Poco dopo ci avviamo per il viale, formazione compatta per evitare di doverci separare a causa della marmaglia di gente su quel marciapiede… Altro motivo per odiare New York… Se ti avessero calpestato probabilmente tutti sarebbero andati avanti senza dire nulla.. A Londra non era così: per quanto sciocco potesse sembrare ricordavo solo volti gentili e “mi scusi” strascicati via al minimo colpo di spalla.
Il problema fu ovviamente quando Ellie mi domandò com’era andato l’esame, perché allora evitare di pensare divenne qualcosa di impossibile.
Continuando a guardare avanti, le mani nella giacca di pelle dissi solo un rapido: ”Oh non l’ho fatto…”.
D’accordo sapevo che avrebbe preteso di sapere di più, ma almeno aspettavo che fosse lei a chiedermelo, invece che iniziare io per primo uno sproloquio infinito.
Nel frattempo arrivammo davanti ad un café e siccome io stavo letteralmente congelando chiesi: ”Senti, entriamo qui?”… Almeno, se dovevo parlare, preferivo farlo con calma uno di fronte all’altro, non circondata dagli aloni di fiato di tutti quelli che mi circondavano e dal gelo di quel Dicembre new yorkese.
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Eloise Hawking
Stavo sorridendo un po' troppo! Se avessi continuato così, mi sarei ritrovata con una mezza paralisi facciale, per non parlare delle tanto temute rughe! D'accordo, in realtà questo secondo aspetto è una gran idiozia, ma, semplicemente, facendo caso al mio stesso comportamento mi rendevo conto di essere, almeno agli occhi di me stessa, inquietante. Non che sorrida poco, in condizioni normali, ma lo faccio sempre in modo estremamente, umh, fastidioso se vogliamo. Già, ormai dovrebbero averlo capito tutti. Non ho un carattere facile, tanto meno accomodante. Anzi, diciamo pure che non sopportarmi non risulta poi così difficile. Ritrovarsi catapultati in uno stato ben diverso da quello a cui ero abituata, quindi, era strano e complicato persino per me.
E dire che, sì, parlavo anche solo del mio stesso modo di sorridere. Certo, ovviamente non poteva mancare la solita vena sarcastica ed un po' saccente, ma mi accorgevo persino da sola di essermi, come dire?, ammorbidita. Parola tremenda, esattamente. Ammorbidirsi vuol dire diventare più malleabili, manipolabili, sciocchi...! Era questo quello che volevo? Non c'è nemmeno bisogno di rispondere. Tuttavia, non riuscivo a farci nulla. Anzi, più lo osservavo, più mi rendevo conto di quanto sentissi una sorta di calore, all'altezza del petto, che mi costringeva a non smettere di sorridere.
Lo so, detta così è spaventosa. Ma io, in primis, la vedevo proprio in questo modo. Non che fosse qualcosa di orribile, però... preoccupante lo era di certo. E, ripeto, non faceva che cogliermi del tutto impreparata. E' vero, di mio sono sicuramente contraddittoria, dato che amo, allo stesso modo, la razionalità e l'irrazionalità, l'avere tutto sotto controllo e il lasciar vagare la mente senza controllo... sulla mia stessa pelle, però, sto ben attenta a ciò che potrebbe succedere. In questo ambito devo avere la perfetta cognizione di tutto e non dev'esserci nulla fuori dalla mia portata. Adesso, invece, le cose mi stavano sfuggendo di mano. Per non parlare del fatto che, più ci pensavo, più il tutto non faceva che peggiorare. I tempi si abbreviavano ed io cadevo nel baratro... e se mi fossi ritrovata del tutto inghiottita dalle mie stesse emozioni?
Tentai di distrarmi, ripetendomi di non essere così tragica. Non era poi una prospettiva così negativa... o forse sì? Ecco, anche solo il fatto di non poter decidere qualcosa di così fondamentale mi dava sui nervi. E la colpa era tutta di Mark. Ovviamente. Da quando lo conoscevo, in fondo, le cose erano sempre andate così. Incertezze e problemi sui quali non mi ero mai arrovellata si erano fatti strada, prendendo sempre più posto ed importanza. Prima la sua calma così paradossale, poi il suo riuscire a mettermi in crisi su cose che, mai e poi mai, avevo visto come questioni spinose. Insomma, di esempi ce ne sarebbero a bizzeffe.
E questo sarebbe solo... l'ultimo della lista. Sorpresi per caso? Ci voleva forse una laurea per capirlo? Mi sentivo in preda al batticuore in sua presenza, eh già. Avete ragione, forse avrei dovuto trovare un modo più poetico per dirlo. Non che voglia sminuire la cosa, anzi, ma... ve l'ho detto che sono spaventata, se vogliamo, no? Il sentirmi così pateticamente imperfetta, nei suoi confronti, mi dava alla testa. Non facevo che ripetermi di calmarmi, di piantarla, di tornare alla normalità. Invece, mi sembra chiaro, succedeva tutto il contrario. Forse avrei dovuto usare la psicologia inversa... sì, non l'autoconvincimento, quanto l'assecondare le mie stesse sensazioni.
Il mio corpo, il mio cervello, persino il mio cuore, forse, volevano rischiare il collasso ogni volta che lo vedevo, o che, anche solo semplicemente, finivo per pensarlo? Bene! Magari, lasciandoli fare, presto si sarebbero resi conto dell'assurdità della cosa, tornando spontaneamente a cercare l'equilibrio e la calma. Avanti, non fate quelle facce! Sono forse così poco credibile, se vi parlo di queste cose? Non sono un'esagitata, né una pazza! E' vero, lo ammetto, ho anche io le mie piccole stranezze, però permettetemi di usare espressioni del genere. Devo forse dedurre che per non dovrebbero valere?
Comunque, psicologia più o meno inversa a parte, non tutto il mio essere era d'accordo con quella sorta di rifiuto. Ero spaventata, sì, questo non posso negarlo. Però... beh, d'accordo, è vero. C'era una parte di me che si sentiva assurdamente ed insensatamente bene, in quelle situazioni. Lo so, questo si che è paradossale. Per quanto provassi disagio ed imbarazzo, per quanto mi sentissi inadatta e sciocca... alla fine era piacevole, se vogliamo. O meglio, la cosa bella, nel tutto, era stare al suo fianco. Sapere di averlo lì, di poterci parlare, scherzare, anche solo di poterlo osservare, quasi constatando la sua presenza. Bleah, lo so, rischio di diventare melensa, così! Io, esatto. Capite ora quanto il tutto fosse strano?!
Giusto per restare in tema, ed anche per farvi capire, in fondo, quanto ormai non ci stessi più con la testa, per difendermi avevo usato proprio l'ultimo degli argomenti tra i quali avrei potuto scegliere. Ma, ehi! Mi aveva pur sempre colta alla sprovvista. E dire che mi professo pronta a tutto in ogni occasione... e lo sono anche, in realtà, di solito. Però, appunto, c'è questa clausola. Di solito. Con Mark non vale, in caso non ve ne foste accorti. Per non parlare del mio piccolo, emh, problemino nei suoi confronti. Non che mi sentissi imbarazzatissima o incapace di parlare, ma quasi non ci pensai, buttando lì la storia dell'equilibrio.
Sentirmi anche rimbeccare, quindi, non fu poi tutta questa stranezza. Insomma, dovevo aspettarmelo, in un modo o nell'altro. Arricciai nuovamente le labbra con disappunto, sollevando scettica un sopracciglio. “Quando mai ti prendo in giro, umh?” lo punzecchiai come se nulla fosse, prendendo poi a camminare. Certo certo, come no! Le nostre conversazioni erano sempre, almeno in parte, riservate al punzecchiarsi infinitamente su qualsiasi cosa. Quella che con la maggior parte del mondo era, alla fin fine, una difesa, diventava invece un vero e proprio strumento per dimostrare la nostra abilità. E, paradossalmente, spesso era proprio in modi come questi che finivamo per svelarci, forse, anche più del dovuto.
Vi dicevo, comunque, che mi ritrovai a sorridere come un'idiota, dopo anche quella piccola parentesi per riprenderlo, dato che non mi aveva salutato. Non sono certo una che si scandalizza, in mancanza delle formalità, ma il discorso è sempre lo stesso. Mark non è forse, a sua detta, un perfetto gentleman inglese? Ecco, ci siamo capiti! Ma non chiedetemi di commentare la cosa, ve ne prego. Anzi, cos'è tutta questa gentilezza?! Potrei anche decidere di venire lì e prendervi a randellate, in caso di domande troppo fastidiose!
Sorridevo, quindi, e cominciai a farlo proprio quando, scherzoso ma alle mie orecchie quasi tenero, mi salutò, rispondendo alla mia provocazione. Quasi non notai nemmeno il tanto odiato nomignolo... e dire che l'avevo sempre ripreso, anzi, avevo sempre ripreso chiunque, sull'usarlo! Ma, anche qui, l'aveva avuta vinta. Ora capite perchè ho praticamente paura? In un modo o nell'altro, quel maledetto mi plagia. Parte tutto da qui, dalle piccole sottigliezze come questa! Invece di trovarlo disgustoso ed infantile, come al solito, quel dannato 'Ellie' cominciava ora a suonarmi in modo stomachevolmente diverso... capitemi, avanti!
Senza altri indugi, in ogni caso, gli avevo anche chiesto dell'esame. Tranquilli, su questo non ho nulla da ridire. Per certe cose sono sempre stata precisa, quindi non c'era nulla di preoccupante. Gliel'avrei chiesto in ogni caso, ecco, senza stare a precisare troppo sul contesto e tutto il resto. Tuttavia, invece di vederlo rispondere come mi sarei aspettata, non intercettai nemmeno il suo sguardo. Mi camminava vicino, a testa bassa, tenendo strettamente le mani in tasca. Quasi tenne le labbra persino serrate, in quell'affermazione secca. Spalancai gli occhi, inizialmente stupita, per poi dargli una leggera pacca di rimprovero su un braccio. “Spero di aver sentito male!” Come non l'hai fatto? Perchè?” attaccai subito, senza nemmeno riprendere fiato. Si era preparato come un cretino per quel dannato richiamo... e adesso sosteneva di non aver combinato nulla?! “E non venirmi a dire che non eri pronto!”
Mentre lo assalivo -visto? Almeno lo ammetto!- con tutti questi rimproveri, lo lasciai deviare verso un bar che mi aveva indicato poco prima, senza nemmeno stare a commentare. Non che mi fidassi così ciecamente del suo buon gusto, ma ero troppo presa per non prestarci davvero attenzione. E poi... va bene, va bene: un posto infondo valeva l'altro... e non mi dilungherò, no! Diciamo solo che, comunque, mi stavo congelando, quindi la prospettiva di un posto caldo era più che allettante. Così, tra le mie domande giusto un tantino accusatorie entrammo, prendendo posto ad uno dei tavolini rotondi sistemati vicino alla vetrata. Cominciavano ad esserci le decorazioni natalizie... che impressione, ci mancavano solo quelle! Però... davano un senso di calore, se vogliamo. Mi sedetti, senza staccare lo sguardo da lui, osservandolo con fare inquisitorio. Aspettavo una risposta, sì. Ed ero... preoccupata, va bene?
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Mark Pace
”Quando mai ti prendo in giro, umh?” Spesso, sarebbe stata la risposta più corretta a quella domanda semi-ironica di Ellie; ma, in effetti, mai per le questioni serie, quindi diciamo che potevo anche lasciargliela passare come veritiera. Questo era sempre stato il fulcro della nostra amicizia ed il motivo per cui forse avevo finito per legare tanto con lei. Vi era tra noi una totale sintonia per certi aspetti della vita e comunque di empatia. Ormai mi bastava uno sguardo per capire il suo stato d’animo, se era allegra o triste, o arrabbiata o semplicemente stanca e abbattuta. Quel giorno le cose stavano girando un po’ alla rovescia, perchè, appunto, di solito io ero quello che non doveva mai mostrare nulla di sé, andando avanti a testa alta e tralasciando tutti quei problemi per cui mi veniva mal di testa al sol pensiero. Forse è vero che più uno si sente incasinato più preferisce evitare completamente di pensarci, altrimenti scoppierebbe; non ritengo di aver vissuto una brutta vita sinora, ma una più complessa di quella di altre persone sì. D’accordo, parlando in quel momento avrei visto tutto nero e forse è per quello che non parlo… se iniziassi non smetterei più di declinare la lunga lista delle mie “tragedie” e finirei per schifarmi da solo. Per esempio… mio padre?! Non pensavo mai a lui o –per meglio dire – mi costringevo a non pensarci mai, come se potessi esser nato solo da mia madre e quella metà di geni non fosse sua. Eppure di fatto il dirmi di non pensarci era già un lieve sintomo del mio pensarci stesso… non so, non ho mai sentito la mancanza di una figura paterna, però ogni tanto avrei voluto aver qualcuno che mi dicesse cosa fare, anziché dover sempre esser io a fare la scelta migliore per soddisfare tutti.
Anche in quel momento per esempio avrei voluto qualcuno che mi confortasse dicendo che era normale che mi sentissi spaesato ed abbattuto, ma che presto le cose sarebbero tornate a migliorare e che era tutto regolare dato la giornata stressante che avevo passato… cose che possono sembrare semplici e banali, ma mi avrebbero liberato di quel macigno costituito da un tremendo senso di colpa.
Colpa per cosa, dite? Beh, ogni volta che mettevo in dubbio la mia voglia di studiare per esempio mi sentivo già in colpa perché qualcuno su un altro continente stava investendo su quei miei studi… e questo è solo un assaggio.
Fatto sta che quel giorno ero forse più vulnerabile del solito e purtroppo me ne rendevo conto anche io… per una dannata misera volta avevo voglia di parlare di me. Sì, esatto, sconcertatevi pure, ma è proprio così. Il problema era che ormai non c’ero più abituato e non sapevo da dove iniziare… E quando Ellie mi pose la domanda sull’esame, risposi a monosillabi proprio per continuare a elaborare mentalmente una risposta in realtà più ampia.
LE sue richieste, le sue insistenze, quei colpi periodici al braccio per richiamare la mia attenzione, allo stesso tempo mi lusingavano e scocciavano:
mi sentivo importante per qualcuno e la cosa fa evidentemente piacere… anche perché solo chi tiene veramente a te si preoccupa per il bene ultimo e non per il piacere immediato, ed Ellie si comportava sempre così nei miei confronti… d’altra parte, volevo un attimo per pensare, riflettere, raccogliere i miei pensieri e riorganizzarli e con lei che mi faceva tutta quella raffica di domande l’impresa risultava impossibile.
Per quel motivo proposi di getto quel bar, per avere un campo, neutro, silenzioso, posato, più intimo se vogliamo, e per riazzerare il discorso dall’inizio.
Sapevo di dovere ad Ellie delle spiegazioni chiare: aveva ragione…avevo studiato e dunque se non l’avevo dato capiva che doveva dipendere da altro.
Effettivamente mi domandai che cosa pensasse lei di me in quel momento: forse che ero uno scansafatiche che si prendeva anni sabbatici? Di quelli che non trovano mai la propria strada e vivono come in un limbo perenne sulla soglia di Dite? Non sarebbe stata una gran bella opinione su di me in quel caso.
Entrando nel locale fui invaso da un’ondata d’aria calda subito seguita da un turbinio di freddo alla schiena, per la chiusura della porta dietro ad Ellie… il locale non era poi male, insomma, un café modesto ma accogliente:c’erano già le luci di Natale a decorare il bancone e persino la radio in sottofondo cominciava ad avere quelle dolci melodie tipiche dell’atmosfera natalizia… A Natale ci si vuole sempre sentire tutti più buoni e dolci per qualche motivo. Io non sono mai stato un gran credente, ma mi è sempre piaciuta l’idea della riunione del Natale… di quel senso di comunità della famiglia. Peccato che non viva quell’unità da un po’ di tempo a questa parte… e no, non parlo stavolta di mio padre, ma degli ultimi due anni in cui non son più potuto tornare a casa.
Stare con gli zii e i loro parenti non è esattamente il Natale che sogno… quei pacchi che arrivano giorni in anticipo e restano chiusi sotto l’albero… quelli sono gli unici legami con quelle persone che amo pur essendo tanto lontane.
A volte mi ritrovo addirittura a pensarmi con loro e la cosa è assurda… Chissà come sarebbe stato quel Natale… forse uguale agli ultimi: in fondo, perché avrebbe dovuto esser diverso?
Pensavo a questo sedendomi su un tavolo vicino alla vetrata e iniziando a togliermi la giacca: Dio, mi ero dimenticato di essermi vestito alla cavolo quella mattina.
Una felpa oscena, jeans di colore elettrico e scarpe che non ci azzeccavano per niente!! Non era decisamente il mio stile in generale e per di più gli accostamenti erano ancora peggiori delle singole componenti.
Rimasi in silenzio aspettando che anche Ellie si sistemasse… Beh in realtà non rimasi proprio zitto fino alla fine. Ammetto che mi sorpresi di come era vestita: non l’avevo mai vista con la gonna e, in generale, tanto elegante e dovetti riconoscere che era davvero carina. ”Oddio, a vederti mi sento tanto più vestito come un barbone, ti faccio decisamente sfigurare oggi!” ammisi con un sorriso sulle labbra, unendo alle scuse per il mio vestiario un complimento al suo.
Eppure, nonostante guardassi vagamente il tavolo e giocassi con la cartina dello zucchero, sapevo che lei mi stava guardando e che voleva e meritava risposte alle sue domande.
Alzai la testa a guardarla e dopo uno schiocco di lingua contro il palato cominciai: ”E’ stata una giornata assurda… se non altro, questo spiega il perché di qeusti vestiti… e dell’esame. ” Mi passai una mano tra i capelli sospirando… volevo davvero parlare quel giorno, ma… di nuovo… non sapevo nemmeno come.
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view post Posted on 20/11/2011, 22:11
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Eloise Hawking
Neanche l'aria calda e l'atmosfera rilassata del café riuscirono a farmi passare la preoccupazione. Lo so, è paradossale, ed io stessa, ovviamente, mi sentivo un'imbecille totale. Non sono sicuramente una persona ansiosa e spero di non diventarlo mai. Tuttavia quella sua risposta striminzita e il senso medesimo delle sue parole mi avevano messa in allarme. O meglio, questi, in realtà, erano solo i segnali più evidenti. Ammetto di non essere una grande osservatrice, per certe cose, ma capitemi. Sono molto, molto menefreghista, di solito. Naa, alla fin fine non credo di essere una persona cattiva. Però... mi faccio i fatti miei. Stop. Di come stiano gli altri mi importa ben poco. O almeno, per quanto riguarda la maggior parte delle persone. E' chiaro che con quelle a cui tengo le cose si fanno diverse. Tuttavia, no, non credo di essere particolarmente empatica. Anche perché, in caso la cosa vi fosse sfuggita, la mia tecnica è non lasciar mai vedere nulla. Ergo... quale miglior modo per farlo, se non non interessarsi eccessivamente agli altri? Ripeto, detta così sembra davvero una cattiveria, ma, aimè, non sono così malefica come vorrei.
… Va bene, è ora di piantarla con le battute squallide. Ma non potevo trattenermi! Ecco, vedete, in questo non sono affatto sbadata. Ci sono particolari che mi colpiscono subito, al primo colpo, sui quali non posso fare a meno di ricamare e ricamare. Altri... altri restano decisamente nell'ombra. Come, appunto, il preoccuparsi, e, prima di tutto, il notare certi atteggiamenti altrui. D'accordo, ormai dovreste averlo capito. Non è solo una questione di disinteresse totale... ma anche di modo d'essere stesso! Non che sia una persona svampita, però ci sono cose alle quali non riesco proprio a prestare attenzione. Probabilmente la cosa è traducibile in egoismo più o meno celato, ma sinceramente dare giudizi negativi sulla sottoscritta non è il mio passatempo preferito.
Al di là di tutte queste complicazioni, però, avevo ovviamente notato che c'era qualcosa che non andava, in Mark, quel giorno. Oltre a quelle componenti macroscopiche, vi dicevo, c'era ben altro di intuibile. Prima di tutto, il modo in cui camminava. Sembrava veramente abbacchiato. E poi, anche se ancora non ero riuscita a guardarlo in viso abbastanza a lungo per sondare ogni cosa, il suo sguardo, appena arrivato, non lasciava spazio a molte interpretazioni. Non voglio finire a fare discorsi maniaci o cose così, però... dannazione, in quegli occhi ci passa sempre di tutto! Qualsiasi cosa abbia in mente, viene riflessa da quello sguardo. E'... cazzo, vi prego, fatemi qualcosa! Un lavaggio del cervello, una cura intensiva! Quegli occhi... mi ossessionano.
Ma non soffermiamoci su particolari del genere! Non ho alcuna intenzione di tornare su punti come la mia sanità mentale o, beh, peggio. Solitamente quando mi metto in testa qualcosa non c'è modo per farmi cambiare idea. Quindi vedete di non distrarmi dai miei propositi! Vi stavo semplicemente dicendo che, pur avendo una sensibilità degna di un sasso, non ero riuscita a non notare quanto Mark fosse giù e sovrappensiero. Persino il modo in cui era vestito rivelava tante cose. Insomma, c'era un freddo polare e quell'idiota si era messo una giacca di pelle! Non mi sarei stupita di vederlo ibernato. Ehi, il fatto che anche io fossi in una situazione molto simile non c'entra un tubo! Ritornate a rileggervi quello che vi ho detto poco fa, su. E non fate commenti cretini!
Dopo tutto questo, ovviamente, esigevo una risposta. Per me e per lui. Non era solo un voler sapere, ecco. O almeno, non nel senso prima della parola. Non volevo sapere il perché per me, ma per lui. Avevo seriamente paura, ecco. Se non aveva dato l'esame doveva esserci un motivo. Un motivo valido, mi sembra chiaro. La fifa o il timore di non essere pronti non potevano essere. Insomma, non sarebbe stato da lui. E poi, in quel caso, ci avrei pensato io a rimetterlo in riga. Doveva essere capitato qualcosa di più serio e di più spiacevole. Dunque, sì, intendevo scoprirlo.
C'è da dire, però, che qualcosa mi diceva che non era finita lì. Certo, anche io sarei stata più che sconfortata, in una situazione del genere, ma... non fino a quel punto. Quasi non parlava e, anche entrati in quel posto caldo e potenzialmente in grado di scongelare entrambi, continuava ad avere un'espressione afflitta. Insomma, ero convinta che ci fosse qualcos'altro sotto. Non riuscii a non fare svariate ipotesi, ma nessuna era veramente plausibile. A quel punto, cominciai a sentirmi un po' stizzita. Se le mie supposizioni non erano credibili era perché... beh, era perché quell'antipatico non mi diceva mai nulla! E' un discorso vecchio, lo so, ma sempre valido. Per quanto lo capissi benissimo e, anzi, mi comportassi esattamente allo stesso modo, il mio atteggiamento si stava leggermente modificando. Per colpa sua, ovviamente. Ero arrivata a raccontargli la 'storia della mia vita', se vogliamo chiamarla in questo modo tremendo. Mentre lui... non lo so, non dico fosse restio, ma, a confronto, io ero ancora nella più totale ignoranza.
Al solo pensiero mi sentivo parecchio infastidita, e, va bene, anche delusa. Il punto era sempre il solito. Non si fidava forse di me?... Uffa, forse, in fondo, faceva solo bene. La stupida in questione ero io. Io ero finita in quell'abisso senza ritorno, io non facevo che peggiorare la mia condizione, io non riuscivo a tirarmene fuori...
“Oddio, a vederti mi sento tanto più vestito come un barbone, ti faccio decisamente sfigurare oggi!” Tentai di rimanere impassibile, a quel commento, dandogli in fretta le spalle. Non sono una che arrossisce o si imbarazza per niente, ma, sapete com'è. Precauzione. Quel commento del cavolo era arrivato proprio al momento giusto, mentre i miei propositi andavano allegramente a puttane. Aveva... aveva notato quanto fossi stata idiota, quella mattina. E, per quanto mi ripetessi che era tutto un caso, una parte del mio cervello si rifiutava di negare l'evidenza e sapeva benissimo che, in fondo, non era affatto così. Mi sentivo una vera cretina, immatura e goffa come una stupida dodicenne. Ecco, almeno ero maligna come al solito, in questo. Sapete, i paragoni con l'età mentale -e non solo- altrui. D'accordo, meglio lasciar perdere, non voglio cadere in discorsi ancora più imbarazzanti.
“Sei sempre un barbone, quindi non ti angustiare!” me ne uscii dopo qualche istante, una volta sicura di non avere niente di strano stampato in faccia, sfoggiando solo il mio amato sorrisetto pungente. Lisciai appena il cappotto, appeso dietro la sedia, e presi posto. Non aveva ancora parlato. Ma non sarebbe stato così ancora per molto. Ero più che determinata a tirargli fuori le parole dalla bocca, evitando, ovviamente, convenevoli e quant'altro. Avanti, non c'è nulla di strano. Sono o non sono insopportabile?
Tuttavia, per qualche minuto, me ne rimasi zitta. Non allontanai però lo sguardo da lui, e, anzi, forse finii per osservarlo persino con cipiglio pesante e pungente. Mark, dal canto suo, faceva quasi finta di niente, passandosi tra le dita quel sacchettino di zucchero. “Sono già stata fin troppo magnanima a...” avevo appena cominciato ad esclamare, per tentare di punzecchiarlo, quando lui parlò. Mi zittii all'istante, per una volta, e rimasi ad ascoltarlo. In realtà, non aggiunse molto a quello che già sapevo. Però... merda, perché era così dannatamente sconvolto?
Aggrottai appena la fronte, pensosa, ed appoggiai i gomiti sul tavolo, per sporgermi nella sua direzione. “L'avevo intuito... abbigliamento a parte, si era capito, sì.” Arricciai le labbra in un sorrisino ironico, a metà tra il vagamente intenerito -se c'è qualcuno, lassù, che mi fulmini! Io in un atteggiamento del genere... ma dove siamo finiti?!- e il pretenzioso. “Cosa aspetti? Hai un paio di orecchie ben funzionanti, quindi vedi di sfruttarle a dovere! Altrimenti, sarò costretta a ricorrere a metodi non propriamente ortodossi, per farti parlare. E sai benissimo che lo farei senza problemi.”
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Edited by #peacemaker - 7/12/2011, 15:49
 
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Working on a dream
view post Posted on 22/11/2011, 16:35





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Mark Pace
Per qualche ragione gli occhi continuavano a cadermi su quelle decorazioni natalizie, così particolari nella loro luminosità e alla fin fine nel loro calore. Il discorso era molto semplicemente che a forza di osservarle mi sentivo quasi in dovere di essere felice e di dover condividere addirittura quella felicità con qualcuno… con Ellie per esempio; ma non riuscivo in alcun modo ad esserlo e la cosa mi deprimeva ancor di più.
Di nuovo, non si trattava solo di quella giornata andata storta, ma anche per esempio del fatto che vedevo scorrermi davanti anno dopo anno quella festa e non mi sembrava di avere in mano la mia vita. Mi sembrava di star vivendo passivamente, non attivamente, e secondo me non c’è nulla di peggio al mondo, dato che la vita è mia ed è una sola.
Per di più, si aggiungeva quella componente di solitudine, di cui vi ho già parlato. Era impossibile provare ad ignorarla. Era come una spina al fianco sempre presente e che di giorno in girono, anziché guarire, penetrava qualche millimetro in più nella mia pelle… No, non voglio fare il tragico, né tanto meno farvi venire i brividi al solo pensiero, molto semplicemente dico quello che penso: era tanto infantile quel desiderio che mi stava nascendo dentro di voler rivedere mia madre? Ed i miei nonni? Mi mancavano… e nessuna figura purtroppo lì presente poteva sostituirli in quel senso. Mi ritrovai quasi improvvisamente a pensare anche ad Ellie… In un certo senso avevamo deciso di dimenticare la brutta questione di quella ”gemella”, eppure… rimaneva il fatto che lei era adottata. Chissà come erano i suoi veri genitori, che stavano facendo… e che avevano pensato di lei lasciandola andare. Curioso che mi ritrovassi a fare io questi pensieri, quando anche lei la maggior parte del tempo si dimenticava della questione… Anzi, diciamo pure che a parte quel pomeriggio non l’avevo mai vista soffrire per quella sua situazione. Forse ragiono così perché non l’ho provato sulla mia pelle, ma non credo che avrei mai potuto affezionarmi ad un'altra madre. D’accordo è anche vero che mio padre sarebbe il mio padre biologico ma è un idiota e non lo sopporto, quindi forse è tutto relativo.
Fatto sta che mi sentivo come sfibrato, senza forza e voglia d fare niente, sottomesso a un rigido meccanicismo che non mi conduceva da nessuna parte e non mi lasciava nemmeno libertà di scelta.
Bello schifo. Avessi beccato il responsabile di tutto questo un giorno giuro che me l’avrebbe pagata cara, Dio o non Dio!
Non era giusto che a qualcuno spettasse tutto e ad altri nulla! E quegli ipocriti avevano il coraggio di giustificarsi dicendo che la ricompensa era nel Regno dei Cieli?! Pffff!!! E cosa mi interessava del dopo?! La mia vita era ora, è ora! Forse sono un tremendo pragmatico e materialista ma non riesco a trovarci nulla di bello in questa grande ansia di aspettative sul futuro… sul post mortem.
Ed ecco che in un modo o nell’altro, pur senza volerlo, anche Ellie contribuiva ad aumentare il mio stato depressivo… ”Sei sempre un barbone…” . Sì, sapevo di esserlo e la cosa mi faceva schifo… Anche lì, mi sembrava che, anche se i soldi non facevano la felicità, fossero di grande aiuto per realizzare le cose che la davano ed io ovviamente non ne avevo abbastanza.
Per esempio, se avessi avuto soldi, avrei potuto tornare a casa ogni weekend… Mentre dovendo centellinare i risparmi dovevo stare addirittura attento a quanti caffé prendevo.
Sapevo che avrei potuto affogarmi di caffè se ne avessi avuto necessità e mamma non mi avrebbe detto niente, ma il fatto era che ogni volta che spendevo mi sentivo in colpa ed in dovere allo stesso tempo nei suoi confronti, mi sentivo un peso e non una risorsa, ed io non volevo essere un parassita.
Comunque, tornai ben presto a ragionare su quella tremenda giornata… già dovevo parlarne ad Ellie o suppongo si sarebbe arrabbiata, anzi, si stava già arrabbiando.
Diceva che non le dicevo mai niente, ma non era poi vero. O meglio… le dicevo più di quanto dicessi mai, quindi non aveva di che lamentarsi. Iniziai a dire qualcosa, interrompendo quella sua ennesima richiesta… Ma ovviamente quei brevi e rapidi accenni non erano bastevoli per lei.
Sorrisi appena, pensando a quell’accenno a metodi non ortodossi, rievocando quella scena in camera mia, quando con la scusa di una seduta psichiatrica avevo iniziato a solleticarla, finendo poi per subire a mia volta il suo attacco di solletico – ed io lo soffro da morire!!! Mi ricordai anche di quel suo saluto veloce, che non mi aveva lasciato nemmeno il tempo di risponderle, ma era stato accompagnato da un abbraccio inaspettato… Quella sera ricordo di esser tornato a casa felice, convinto di sapere che eravamo davvero diventati grandi amici.
”Vuoi dire che lo faresti qui in mezzo al bar? Non mi sembra appropriato… E poi… vorresti farmi così sfigurare rivelando certe debolezze?” Ovviamente mi riferivo sempre al solletico… Eppure dal suo sguardo severo compresi che non me la sarei cavata deviando l’argomento.
D’accordo, in tal caso le avrei detto cosa mi era successo… ”E va bene… mi sono alzato tardi perché non ho sentito la sveglia… mi sono vestito, come hai evidentemente notato in fretta e furia e sono arrivato appena in tempo all’università… rischiando ben due volte di morire in metropolitana… e non sto scherzando…” accennai di nuovo un sorriso a metà tra il ridicolo e il serio per sdrammatizzare quel mio compianto poi aggiunsi ”e tutto questo per scoprire che…. Oggi il professore non c’era e l’esame era rimandato a data da stabilirsi. ” Conclusi con un tono rassegnato, sarcastico, lapidario, che ben lasciava intuire le mie idee a riguardo. Poi, non sapevo nemmeno io se dovevo continuare o meno; ve l'ho detto, in condizioni normali non avrei esitato a fermarmi lì, eppure... quel giorno avevo voglia di parlare con lei... di confrontarmi, di sentirmi apprezzato in tutta quella solitudine. Continuando a giocherellare con la bustina di zucchero quindi commentai: "...Non ce la faccio più... Non li sopporto."
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view post Posted on 24/11/2011, 16:57
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Eloise Hawking
E stavolta che avevo combinato? No, non sono una coda di paglia. Anzi, come mi pare di avervi già fatto notare -anche se credo non ce ne sarebbe nemmeno bisogno!-, solitamente me ne frego altamente di quello che pensano gli altri, per non parlare, poi, delle loro emozioni. D'accordo, da questo punto di vista non è che sia del tutto insensibile, ma, semplicemente, sono sbadata. Non mi rendo conto di come qualcuno possa sentirsi in un modo o nell'altro. Vi ripeto che non è una scusa! Che senso avrebbe, per me, negare una cosa del genere? So di essere un'insensibile e me ne vanto! Ma la cosa si articola su vari livelli.
Comunque, è vero, il discorso che ho appena fatto non vale in generale. Voglio dire, ho anche io le mie eccezioni. E, tra di esse, figura anche Mark. Sarà che avevo imparato a conoscere ogni suo minimo cambio di espressione -avanti, sappiamo tutti che sarebbe praticamente impossibile non notare quello che gli passa per la testa, quando fa certe facce!-, sarà che, sì, avevo quel mio problemino nei suoi confronti... il punto è che, ad un tratto, lo vidi visibilmente incumpirsi.
D'accordo, in verità era già giù da prima. Ma questo l'avrebbe notato chiunque. Era scosso e, appunto, non voleva rivelarmi il perché di quello suo stato d'animo. Tuttavia, ad un certo punto, le cose cominciarono a migliorare. Se prima il suo sguardo era stato solo vago, concentrato ora sulle decorazioni del bar, ora su quella bustina rossa e bianca di zucchero con cui giocava fintamente interessato, adesso si era fatto molto più attento, e, allo stesso tempo, acquoso. Cercai quasi di incontrare i suoi occhi, come per accertarmi della cosa, ma poi ebbi paura. Insomma, e se ci fossi riuscita? Sostenere quello sguardo in una situazione del genere... forse non ne ero all'altezza.
Sì, avete sentito bene. Temevo di fare un passo falso. Temevo di deludere le sue aspettative. Si sa, non sono una grande consolatrice. Così come non sono un granché nell'ascoltare. E non so nemmeno accorgermi di quello che sente la gente, già. Per dirla in breve, sono una vera frana, con i rapporti umani. Nel momento in cui ho una penna ed un pezzo di carta le cose cambiano, ma, così, faccia a faccia, mi trovo spesso in difficoltà. Forse... forse non ho mai imparato a relazionarmi con gli altri. Cerco di non pensarci mai, ma, ogni tanto, il pensiero mi prende alla sprovvista. Probabilmente la colpa è solo mia. Sono... non lo so, disumana? Sono strana, di questo ne sono consapevole. Però, per quanto ami essere l'acida della situazione, mi dispiacerebbe essere vista come qualcosa di... completamente mostruoso.
Specie -e la terra mi inghiotta, o qualcosa del genere, dopo una tale affermazione!- da lui. Non solo avevo paura di quello che avrebbe potuto pensare di me. Soprattutto, temevo di non poterlo veramente aiutare. Temevo di essere inutile. Temevo di non riuscire a farlo sentire un po' meglio. Già, l'altra faccia del mostro, purtroppo o per fortuna...
In tutto questo, velocemente cercai di collegare il perché di quell'ulteriore peggioramento. Dovevo aver detto qualcosa di male. Ma ancora dovevo insistere e torchiarlo! E nulla mi avrebbe tirato indietro dal farlo. Avevo semplicemente... boh, fatto quella stupida battutina sul suo barboneggiare? Lo guardai per un istante, perplessa. Eppure lo prendo sempre in giro sulla cosa. Insomma, è solo una delle tante argomentazioni su cui mi diverto a scocciarlo. Delle volte è pigrissimo e per giorni non si fa la barba. Quindi, ovviamente, finisco per dargli del barbone. Ne ridiamo. Ne ride. Dunque... perché?
Mi scervellai in tutti i modi, tentando di darmi una risposta. Nuovamente, la mia attenzione cadde su di un nervo sempre scoperto. Non lo so, poteva essersi offeso prendendo quella presa in giro letteralmente? Insomma... sono idiozie che si dicono e lo sapeva benissimo anche lui. C'era forse qualcosa di veramente vagabondo in lui, nella sua vita? Se solo... strinsi appena le labbra, non riuscendo a trattenere un po' di stizza. Se solo mi parlasse, dannazione. In ogni campo! Sono sempre all'oscuro di tutto. Sempre!
Mi dissi di non pensarci, cercando di deviare la mente su altro. Dovevo andare avanti, dovevo... dovevo tentare, almeno, di scoprire qualcosa! Per me e per lui. Lo capivo e tutto, però sapevo anche che, ogni tanto, esternare queste cose fa bene. D'accordo, d'accordo, dovrei essere l'ultima a parlare di queste cose, ma... sto imparando, e che cavolo! E la colpa è proprio sua. Devo forse ricordarvi cosa è successo il mese scorso? Non crediate che me ne sia dimentica. La mia sosia, il mio andarlo a cercare... e tutto il resto, sì. Arrivando, inevitabilmente, alla mia nuova, preoccupantissima mania. Mark stesso, bingo!
Quindi mi sforzai di andare avanti, minacciandolo allegramente per indurlo a parlare. Per fortuna, stavolta, mi sorrise e rispose a tono. Come suo solito, finalmente! Lo guardai saccente, sollevando le sopracciglia con fare di sfida. “Credi forse che mi faccia spaventare da cose del genere? Io?” scrollai risolutamente il capo, per poi fingere di asciugarmi una lacrima. “Mi deludi profondamente! Pensavo avessi cominciato a capirmi...” Va bene, facevo l'idiota, ma, tra le righe -e nemmeno tanto implicitamente, in realtà- gli avevo lanciato un segno più che inequivocabile. Comprensione. Lui capiva me ed io capivo lui. Nemmeno mi sono resa conto della cosa, ma ormai è troppo tardi. Non so come sia cominciata, però siamo arrivati ad un punto in cui non posso negare di sentirmi, almeno in parte, capita da lui. E, sinceramente, credo di poter sostenere anche il contrario. In fondo, sotto certi aspetti, siamo dannatamente simili.
Tutto questo, comunque, per fargli capire, anzi, per ricordargli la cosa. Io potevo capirlo. O almeno, speravo. Io potevo aiutarlo, o meglio, avrei fatto di tutto per poterci riuscire. Io... oh, insomma! Semplicemente, io ero lì. E non aspettavo altro che un suo cenno. Sentirmi anche solo fare certi ragionamenti è sconvolgente, ma si susseguivano così, uno dopo l'altro, senza che potessi mettervi un freno.
Quasi ero pronta a sporgermi al di sopra del tavolo per cominciare davvero a torturarlo, quando si schiarì la voce e cominciò a parlare. Per qualche istante spalancai gli occhi, decisamente sorpresa, ma poi rimasi immobile, come se anche solo muoversi avrebbe potuto rovinare tutto. Ecco cos'era successo... vederlo sdrammatizzare, o almeno, tentare di farlo fu stranissimo. Aveva un'espressione troppo malinconica, come se il peso di quella giornata gravasse fisicamente sulle sue spalle. Per una dannata volta mi sentii vicina a quello che provava. Empatia. Era davvero possibile?
“...Non ce la faccio più... non li sopporto.” Per quanto non mi guardasse, così come non mi aveva guardato nel raccontarmi il resto, quella frase produsse in me un effetto devastante. Era pesante, pesante come una montagna. Potevo davvero sentire quella sua stanchezza, potevo... senza pensarci, alzai la mano destra dal tavolo, cominciando ad avvicinarla... alla sua. Dopo solo un istante, però, cominciai a sentirmi incerta ed imbarazzata. Peccato che, però, fossero vicinissime. La lasciai quindi cadere, quasi, a pochi centimetri dalla sua, finendo per sfiorare con i polpastrelli il tavolo. Mi morsi appena le labbra, dandomi dell'idiota. Dovevo parlare, che diavolo stavo combinando?!
“Mark...” lo chiamai, notando con sconcerto quanto il mio tono fosse basso e smussato. Da dove arrivava tutta quella... dolcezza? “Ascoltami. E' vero, è stata una giornata sfigata. Ma... non sempre va così. D'accordo, è innegabile che, in generale, le cose non facciano che prendere una brutta piega. Però è così. La vita è così! Ingiusta, odiosa, stancante...!” Mi ero infervorata, finendo per stringere quella mano sporta in avanti in un pugno. “Tuttavia... perché buttare via ogni cosa? Siamo qui. Siamo noi. Niente e nessuno ha il diritto di buttarti giù così.” Era vero ovviamente, ci credevo davvero. C'era una domanda, però, che mi premeva. Va bene, in realtà le domande erano praticamente infinite. Ma... da qualcosa dovevo pur cominciare, no?
Sospirai, piano, guardandolo. “Chi...? Cosa non sopporti?...”
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Working on a dream
view post Posted on 27/11/2011, 15:47





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Mark Pace
So che era una semplice battuta, ma dato il mio stato d’animo anche quel “Pensavo avessi cominciato a capirmi” di Ellie suonò come un rimprovero da parte sua. A dire la verità io ero convinto di conoscerla e capirla ormai, nel bene e nel male e di apprezzare in modo più o meno vivido ogni sua caratteristica. Sapevo come avrebbe reagito a certi miei toni di voce piuttosto che a certe mie affermazioni, come le sue labbra si arricciavano quando c’era qualcosa che non le andava a genio e come invece i suoi occhi si illuminassero quando stavamo scherzando.
L’idea quindi di deluderla in quel campo avrei potuto facilmente escluderla, nel senso che, per quanto sapessi di essere l’ ultimo arrivato, ero anche inconsapevolmente convinto di meritare la sua amicizia più di tanti altri amici di vecchia data e di conoscerla anche meglio di loro.
In un certo senso, a volte provavo anche un senso di stizza quando mi parlava di altre sue amicizie… Non era propriamente gelosia, ma un senso di tradimento; insomma, mi faceva strano che potesse comportarsi allo stesso modo con me e altri sconosciuti, dato che – da parte mia invece – a parte Richie non potevo vantare alcun altro rapporto del genere.
Avevo appena accennato un sorriso aggiungendo: ”Infatti… ma speravo nel tuo istinto di pietà nei confronti di un sofferente solletico…”
Senza rendermi conto avevo usato una parola che mai avrei sognato di dire più o meno seriamente: pietà. Odiavo sentirmela addosso… provare la sensazione che qualcuno ti stesse osservando e giudicando come il poverino della situazione era qualcosa che mi faceva innervosire e stizzire.
Eppure non so come con Ellie le mie barriere si stavano azzerando per l’ennesima volta… Per quanto continuasse ad essere qualcosa di difficile, stava diventando spontaneo cercare conforto in lei, anziché chiudermi in me stesso; quella necessità di parlare e spiegarmi, non mi era mai successo con nessun’altro.
E pian piano mi ero svelato, raccontando istante per istante la mia giornata fino al momento in cui la sua figura non era apparsa dall’altro lato di una strada; fino al momento in cui non solo era stato necessario rivelare i fatti, ma anche le sensazioni ad essi legati… fino a quel ”non li sopporto”, che non avevo mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce perché rappresentava l’ammissione della mia sconfitta. Finchè tutti quei pensieri negativi rimanevano nella mia testa infatti, era come se in qualche modo non esistessero, mentre ora era tutto dannatamente reale e mi spaventava la cosa.
Guardavo vacuamente il tavolo, ma non mi sfuggì il lento movimento della sua mano, lungo la superficie lignea di esso.
Non sapevo cosa dovevo fare… se stendere altrettanto la mia o meno, ma non volevo, mi sentivo tremendamente in imbarazzo e non volevo che lei percepisse quel gesto come l’ennesima richiesta di soccorso: non mi ero già esposto abbastanza in fondo? Un altro passo e avrei rivelato la mia intera esistenza! Meglio di no…
Per quello rimasi immobile ed osservai con la coda dell’occhio quel palmo allungarsi lentamente, arrivare quasi a toccare il mio e poi, quando iniziavo già a percepirne il calore, ritrarsi di scatto. Forse era stato tutto nella mia testa; forse avevo solo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse dolce come avrebbe fatto un tempo mia madre.
Può suonare terribilmente infantile, ma in quel momento ero convinto che nulla mi avrebbe fatto sentire altrettanto bene.
Poi Ellie, dopo quel lungo silenzio imbarazzante iniziò a parlare…pronunciando dapprima solo il mio nome. Era strano il suo tono, era diverso dal solito. Ci siamo… era compassionevole. Eppure, se dapprima rimasi quasi male al pensiero che lei, fra tutti, non poteva provare pietà per me, ascoltando le sue parole rimasi stranito… Da certe sue affermazioni sembrava davvero aver centrato il punto della questione, aver compreso a fondo come mi sentivo, il ché era strano considerato che sapeva ben poco del quadro generale.
D’un tratto alzai il viso a guardarla, sentendo le sopracciglia in fronte, prima corrucciate, distendersi: “Siamo qui. Siamo noi. Niente e nessuno ha il diritto di buttarti giù così.” . Insomma, forse lo interpretai male io ma quel siamo noi in particolare mi colpì e mi scaldò il cuore; mi fece sentire parte di qualcosa, parte di una complicità e di un’unione come non mi sentivo da tempo. Da quando ero arrivato a New York, ero sempre stato considerato un po’ l’alieno della situazione, anche per piccole banalità come preferire il tè al caffè alle cinque di pomeriggio. Quelle parole effettivamente, erano l’ammissione che tutte quelle impressioni che io avevo, tutte le speranze che io riponevo continuamente in quell’amicizia non erano vane. Non eravamo mai stati persone da dimostrare e ammettere apertamente il livello di conoscenza raggiunto… Ora lei l’aveva fatto. Per la seconda volta in realtà, dopo quel fugace abbraccio un mese prima.
Tuttavia, se quella frase mi aveva rincuorato, la domanda dopo mi riportò coi piedi per terra e al solito problema di come avrei preferito decisamente sotterrarmi anziché continuare a rimarcare i problemi di quella mia magra esistenza.. Di quella che lei aveva definito una vita ingiusta, odiosa, stancante.
In effetti, chissà come viveva lei tutta la situazione: in generale sembrava felice al momento, almeno prima che io la conducessi in quel vortice di depressione.
Chi non sopportavo? Tutti e nessuno… Non c’era una persona particolare a cui fossero dirette tutte le accuse, vi era un vero e proprio concorso di colpa, solo che mano a mano tutti gli errori si accumulavano, i miei in testa, ed io finivo per detestare la mia vita.
Chissà, magari avrei anche risposto, o forse avrei cercato di sviare l’argomento… Ero incline allo stesso modo verso entrambe le opzioni quando sentii il cellulare vibrarmi in tasca ed un secondo dopo la suoneria di un sms risuonò.
Salvato dalla campanella? Può darsi che l’abbia anche interpretato così sul momento.
Fatto sta che guardai di nuovo Ellie negli occhi e dissi: ”Scusami un secondo…”. Estrassi il cellulare dalla tasca e sbloccati i tasti cliccai sul pulsante di visualizzazione sms… E sorrisi. Già la semplice lettura del destinatario mi portò a inarcare le labbra verso l’alto…
”Ciao tesoro. E’ incredibile come non riusciamo mai a incontrarci. Ieri sera avevo il cellulare spento e stamattina, trovando la tua chiamata, ho provato a mia volta, ma non mi hai risposto tu; probabilmente eri a scuola vero? Beh, appena puoi aspetto di sentire la tua voce, anche solo per sapere come stai. Mi manchi. Un bacio.” . Mia madre… quella persona che avevo aspettato di sentire per tutto il tempo mi aveva finalmente contattato e fu un po’ come un raggio di sole nell’oscurità. Mi resi conto di come per un attimo mi fossi estraniato da tutte le circostanze esterne, persino da Ellie e sollevando lo sguardo mi resi conto che si era alzata andando al bancone ad ordinare. Probabilmente se lei fosse rimasta lì avrei chiuso il cellulare aspettando di chiamare poi… ma dato che lei era voltata altrove indugiai un altro po’ su quel testo, riscorrendolo più volte prima di appoggiarlo sul tavolo a schermo spento.
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view post Posted on 29/11/2011, 15:21
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Eloise Hawking
Sono impulsiva, questo è vero. Ma, nel parlare, tendo invece ad essere molto più razionale, a riflettere, prima di dire qualcosa. Certo, avevo pensato a quelle parole, prima di dirle. Però, solo una volta finito, tornai a ragionare su di esse. Non tanto sul loro significato, essendo profondamente convinta di quello che avevo detto, quanto... beh, la cosa in sé vi basta come spiegazione? Ero stata... non lo so, come dire se non fin troppo gentile? Lo so, lo so, non dovrei nemmeno lontanamente avvicinarmi a questioni come queste. E' innegabile, però, che la cosa potesse risultare inusuale. E non solo ai miei occhi. Insomma, non sono certo un esempio di bontà, ecco. Ritrovarmi a fare da consolatrice, quindi, era qualcosa di nuovo. Tento di farmi in quattro per le persone a cui tengo, ma, sapete com'è. La mia fama mi precede. Non sono esattamente tipo in grado di mettersi lì ad ascoltare, dispensando poi consigli. Poca pazienza a parte, credo che ormai tutti abbiano capito come, volente o nolente, tenda a disinteressarmi di tutto ciò che non mi riguarda direttamente.
Adesso, invece, non solo mi stavo preoccupando di qualcosa che aveva a che fare con lui, ma... ci stavo pure male, da parte mia! Per non parlare del fatto che, appunto, nel dirgli quelle cose, me ne rendevo conto ora, avevo usato un tono e un fare praticamente mai visti. Cosa devo dirvi? Anche se ci metterei le mani sul fuoco, anche se mi farei fare qualsiasi cosa, pur di non ammetterlo, non sono un pezzo di giacchio. Di tanto in tanto questioni come queste toccano anche me. E... perché dovrei aggiungere altri particolari, umiliandomi ulteriormente? Mi sembra di avervi già fatto capire fin troppo bene il punto. Ci arrivate anche da soli, su. Insomma, se ci fosse stato qualcun altro e non Mark, lì davanti, beh... non posso garantirvi quale sarebbe stato il mio comportamento. Ma non voglio aggiungere altro!
Semplicemente, dicevo, constatai quest'ennesimo carico di novità solo a cose fatte, quando, nel silenzio, tornai a rimuginare sul quello che avevo appena espresso, aspettando però fremente che lui aggiungesse particolari. Mi accorsi anche della superficie fredda del tavolo, dove avevo posato la mano, e non riuscii a non sentirmi appena a disagio. Ovviamente mi era tornato in mente il gesto cretino di poco prima... ma quanto ero stata sciocca?! Cosa pensavo di fare, umh? D'accordo, d'accordo, forse avrei bisogno di una domanda di riserva.
Andiamo per gradi, però. C'era qualcos'altro su cui mi ero soffermata, prima di tentare ancora, stavolta contenta dei risultati, Mark. Ancora facevamo i cretini, ancora lo stavo minacciando di terribili torture, in cambio del suo silenzio. Quando lui... beh, lui se n'era uscito con qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Pietà. Probabilmente lo guardai un po' stranita, a quella parola. Insomma, non avrei mai pensato che potesse... vederla così. Su certe cose siamo dannatamente simili, giusto? Bene, ero convinta che questa facesse parte delle caratteristiche comuni. Chi mai vorrebbe far provare pietà agli altri? Pena, pietà... tutte parole negative, se applicate sulla mia stessa persona. Preferisco il disprezzo, l'odio persino, forse, a sentimenti del genere. Essere visti come i poveri sfigati di turno, quelli da compatire, non è mai bello. Anzi, è degradante.
Ecco quindi che rimasi perplessa, a quell'osservazione, e decisi di lasciarla cadere nel vuoto. Commentarla voleva dire o cominciare una discussione, oppure... scontrarsi ancora con quella che, ai miei occhi, appariva come una piccola ma pungente delusione. Così come Mark, purtroppo o per fortuna, mi conosceva -e gliel'avevo anche fatto notare, stupida me!-, io, dal mio canto, ero convinta di poter dire lo stesso. Anzi, di tanto in tanto, per non dire anche più spesso, mi scoprivo a gioire per quelle piccole comunanze che riscontravo, tra di noi, dicendomi che no, non avevo mai conosciuto qualcuno che mi fosse così... affine. Non voglio fare un discorso melenso, anzi, datemi fuoco piuttosto, però... però è innegabile, va bene?
Come se non bastasse, continuando su questa scia, mi ero quasi arrischiata a prenderlo per mano, rinsavendo solo in extremis. Insomma, di male in peggio, nel vero senso della parola. Tuttavia, le mie stesse sensazioni ero stupidamente contrastanti. Da una parte mi davo addosso, ripetendomi di piantarla con quell'atteggiamento infantile, da ragazzina infatuata. Ma dall'altra... non lo so, forse sono semplicemente masochista. Il fatto è che, nel mio stomaco, sentivo le famose farfalle, quelle che svolazzano odiosamente quando si è felicemente agitati. Ah, quanti ossimori! E poi dovrei anche non essere sul punto di impazzire? Quando mai! Andavo di male in peggio, seriamente. Come cavolo ero finita a bearmi e dannarmi per una sola cosa?
Sperai, almeno, che Mark non avesse notato quel cambiamento, se così vogliamo chiamarlo, e che non mi si leggesse nemmeno in faccia tutta la confusione che provavo dentro. In realtà, per questo, potevo anche stare tranquilla. Erano giorni, per non dire settimane, che la cosa andava avanti così, ma niente o nessuno mi aveva mai rimbeccato. Insomma, evidentemente sono una brava attrice. Oppure, più semplicemente, sono fin troppo abituata a nascondere una parte di me... ma ehi, che cavolo sono questi discorsi? Io che mi sminuisco? Altroché pazzia, qui stiamo proprio degenerando nel modo più assoluto. Solo che, più ci pensavo, più il rischio si faceva alto. Non doveva trapelare nulla, assolutamente nulla.
Per fortuna, o meglio, purtroppo, in realtà, ben presto altri problemi assorbirono di nuovo la mia attenzione. Eh già, rieccoci. Focalizzai i miei pensieri su di Mark, aspettando trepidante una sua risposta. D'accordo, mi rendevo conto che, in effetti, aveva già fatto parecchi passi avanti, raccontandomi quelle cose. Ma sapete come succede sempre, no? Non ci si accontenta. Si vuole di più, sempre di più. Ed io, avida di informazioni, avida della sua voce, e, soprattutto, avida di vederlo stare un pochino meglio, grazie, almeno in parte, anche alla mia stessa persona, non riuscii a fermarmi. Mi aspettavo altre parole, altri racconti. Dal mio canto, ero pronta a fare qualsiasi cosa, praticamente, se solo... se solo me l'avesse chiesta. Ecco, vedete qual'è il problema? Sentite come diavolo sono finita a parlare? Me ne vergogno immensamente da sola, quindi fate un po' voi...!
In ogni caso, va bene, lo ammetto. Ero decisamente sulle spine e il suo silenzio di certo non aiutava. Sondavo ogni sua espressione in cerca di qualcosa, tentando di trarre conclusioni forse un po' troppo affrettate. Insomma, qualsiasi scusa era buona per pensare, pensare e pensare ancora. Ecco che distendeva appena la fronte, ecco che arricciava le labbra in una delle sue assurde espressioni, ecco che i suoi occhi chiari si facevano più o meno brillanti... ogni suo cambiamento, anche le cose più piccole, finivano per attirare la mia attenzione. Quel silenzio, però, cominciava a farsi pesante. Non avevo esagerato stavolta, ne ero sicura! Avevo semplicemente espresso quello che sentivo. Ma allora... perché?
Strinsi le labbra, tra il preoccupato e il deluso, non sapendo cosa fare. Non stava a me parlare, non... all'improvviso mi convinsi di una sua ormai vicina mossa. Dovevo smetterla di farmi dei problemi! Stava per... cos'era quel rumore? Sembrava, in tutto e per tutto, la suoneria di un cellulare. Il mio non era, però, dato che uno l'avevo cacciato nella borsa prima di uscire, e due non faceva quel suono. Intorno non poteva essere, perché troppo vicino. Per un istante guardai Mark appena interrogativa, proprio un momento prima che lui si scusasse, spostando in fretta lo sguardo e l'attenzione sul... sul cellulare, già.
Per l'ennesima volta, nel giro di pochi minuti, finii per sentirmi contrariata ed infastidita. Ne avevo tutto il diritto! Stavamo facendo un discorso serio, lo stavo persino consolando... ma lui si faceva distrarre da quell'aggeggio! Chiunque fosse, doveva lasciar perdere, aspettando che finissimo. No, non stavo esagerando! Mi sentivo... ferita, d'accordo? O messa da parte, come volete. Chiunque ci fosse dall'altra parte di quel telefono, evidentemente, doveva essere più importante di me. Stavo per commentare, tornando alla mia solita acidità, quando accade. Fino a quel momento le espressioni di Mark avevano attraversato tutta la gamma della tristezza e dell'insoddisfazione. Adesso, nemmeno un istante dopo quella faccia da patibolo, sorrideva. Esatto. Sorrideva guardando quello stupido schermo.
Bastò un istante, quindi, per far crollare anche la battutina pungente ed indispettita che stavo per fare. In un attimo mi sentii schiacciata da quell'ovvia realtà. Non c'era nulla che potessi fare. Non ero... non ero nessuno. Interdetta, rimasi immobile per qualche secondo, allontanando solo lo sguardo da lui. Dovevo reagire, però, e che cazzo! Invece, come una vera codarda, decisi di alzarmi. Esitai solo per qualche secondo, incerta se dire qualcosa o meno. Vederlo nuovamente sorridere, però, fu una pugnalata. Si stava divertendo, no? Era contento. Bene. Benissimo! Cosa poteva mai importargli se me ne andavo?
Avendo deciso per il silenzio, mi avviai verso il bancone, per ordinare qualcosa. In fondo sono pur sempre una persona educata. Per quanto incazzata -no, non ho alcuna intenzione di aggiungere altri stati d'animo a questo, mi dispiace!-, non mi sarei nemmeno azzardata ad andarmene così, per una questione tanto... marginale. D'accordo, non lo era affatto, ma non avevo intenzione di interromperlo. Avrei fatto qualcosa, questo era certo. Dovevo solo pensarci un po' su. E poi, paradossalmente, continuavo a sentirmi in ansia per lui. Insomma, una parte di me desiderava ancora aiutarlo, per quanto... per quanto, adesso, mi sentissi un po' abbacchiata.
“Due cioccolate calde. Con panna. E non dimenticare i biscotti!” bofonchiai al barista, una volta arrivata al bancone. Volevo impormi di rimanere lì, impassibile, fino a quando non avesse finito. Non volevo girarmi, non volevo guardarlo. Eppure, pur sapendo che, di certo, non si era nemmeno accorto della mia assenza, dato quant'era preso da quel maledetto aggeggio, e, soprattutto, dalla persona dell'altra parte, non riuscii a non sentirmi esposta. Per non parlare della tentazione, che, lo ammetto, mi vinse. Con discrezione, quindi, finii per voltarmi, appena, ad osservarlo. Esattamente come avevo immaginato. Fissava ancora il cellulare, e, anzi, ancora sorrideva, persino. Tornai a voltarmi, stavolta con fare più macchinoso. Le farfalle nel mio stomaco si erano trasformate in pietre.
“Due cioccolate con molta panna ed abbondanti biscotti!” La voce scherzosa del barista reclamò la mia attenzione. Mi rassicurò sul pagare anche all'uscita, lasciandomi sola con un vassoio ben imbandito. Perfetto. Lo afferrai, cercando di essere il più sicura possibile,e feci per tornare a sedermi. Mmh, accidentalmente quella cioccolata bollente poteva finire in testa a Mark... ed anche sul suo cellulare!
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Edited by #peacemaker - 7/12/2011, 15:49
 
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Working on a dream
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Mark Pace
Era frustante che quella parola mi fosse scappata detta… quell’orrenda parolina tronca composta da sole due semplici sillabe e su cui ora mi stavo torturando il cervello. Non volevo, non volevo affatto, che lei arrivasse mai a provare qualcosa di simile nei miei confronti, perché sarebbe stato degradante, avvilente, e se trovate qualcosa di peggio dello strisciare come dei vermi per terra avrete capito il concetto.
Insomma, era tutto parte di un gioco, di quella finzione sulle nostre sedute, ma sapevo che da qualche parte il mio inconscio aveva reclamato l’uso di quella parola come estremamente vitale, come se davvero io in quel momento avessi voluto esser compatito da lei.
Forse, in realtà, non era tanto quello che stavo cercando, bensì semplice affetto. Sapevo che lei era, nel bene o nel male, chiusa quanto me per certi aspetti, forse anche di più, quanto a dimostrazioni di un certo tipo: io forse ero più riservato, ma non avevo problemi ad abbracciare una persona nel mezzo della piazza se ne avevo voglia… lei invece sì. A volte però, in occasioni come quella, in giornate come quella, avrei tanto preferito un semplice abbraccio sincero, qualcosa che insomma, mi scaldasse anche fisicamente a quelle parole… O per lo meno, l’idea di un contatto che andasse oltre all’analisi patologica e quasi clinica del problema. In poche parole, non volevo sentirmi dire cosa fosse giusto fare e se fosse giusto o sbagliato… lo sapevo già. Volevo che qualcuno… anzi non qualcuno… che lei, che era la mia migliore amica, mi dimostrasse quanto valevo per lei e mi facesse percepire che la persona in cui riponevo almeno metà delle mie confidenze negli ultimi tempi, era disposta a fare tutto per me.
Volevo che Ellie uscisse dal guscio e si mettesse a fare anche cose stupide, ma che poi mi dicesse… ”Tu conti per me… probabilmente era la situazione, il momento, non so, sentii davvero il bisgno di una frase così che però non arrivò mai.
Sapevo che per certe cose, certe sue affermazioni rappresentavano già un bel passo avanti eppure, forse avrei voluto che mi facesse capire ancor di più, che non era una banale amica da uscite… era la mia amica… Dannazione, esiste un modo per spiegarvelo, senza che andiate subito a farvi viaggioni e a pensare male?!
Volevo solo un conforto da lei… tutto qui. E in questo risiedeva la colpa di quel lapsus.. di quella distrazione .. di quella pietà.
In effetti aveva detto qualcosa che aveva un chè di simile a quello che la mia mente sperava… ”Siamo qui. Siamo noi.” Sì, qualcosa di dolce riempiva il suo tono. Come vi ho già detto poi, non so dirvi se avrei risposto o meno alla sua richiesta di approfondire la questione del non sopportare… Può darsi… A posteriori penso di sì, ma allora… allora chissà, magari ragionavo diversamente. Forse ora sono anche cresciuto, nel mio piccolo, e certe cose le vedo in modo diverso. Chi può dirlo.
So per certo che quell’sms che fece suonare il mio cellulare… aveva cambiato la mia giornata riempiendola con un sorriso istantaneo.
Erano poche parole ”Ciao tesoro, ”mi manchi”, ”un bacio”… frivolezze forse ai vostri occhi. Ma avete idea di come mi potessi sentire dopo mesi, anni che non vedevo quel volto? Quel mi manchi aveva tutto il peso e l’importanza di questo mondo, quel bacio mi raggiungeva veramente e mi riempiva il cuore, scaldandomi la guancia come se lo avessi davvero ricevuto… tesoro… mi aveva sempre chiamato con quel nomignolo imbarazzante, una vendetta per il mio sdegno nei confronti del “Marcus”, che mi aveva appioppato da infante. DA ragazzino non lo sopportavo e mi tappavo le orecchie storcendo il naso a quelle manifestazioni d’affetto… Così come facevo per il “ragazzo” del nonno… Tutte cose che in quel momento si affacciavano alla mia mente, come visioni di tempi andati e rimpianti, che avrei voluto rivivere in quell’esatto istante. Volevo le torte di mia nonna, il vialetto della loro casa, i capelli pazzi di mia mamma, di cui lei si lamentava sempre.
Ora non avevo nulla. Sì, mi sentivo triste d’un tratto. Dopo quell’istante di felicità, percepivo ancor di più la vanità di ciò che avevo lì in America… Il grande sogno americano… tutto film e niente realtà: dov’era la tanto declamata ricerca della felicità? Io non ero felice.
Non volevo vivere quella vita, più di quanto avrei voluto andare in guerra…
Fissavo vacuamente il tavolo quando d’improvviso sentii la voce di Ellie che aveva ordinato: cioccolate con panna e biscotti… Quella ragazza ormai mi conosceva bene non c’è che dire. Fu alzando appena lo sguardo verso di lei e sorridendo che mi sentii doppiamente e di nuovo una merda.
Con che diritto un secondo prima ero finito a fare tutti quei discorsi così orrendi? Con che razza di testa avevo criticato il modo di agire di quell’unica persona –d’accordo forse non unica, ma sicuramente principale – che si preoccupava di me e della mia felicità? Avevo avuto la faccia tosta di riverberare le mie insoddisfazioni su di lei, di sognare quel passato, che al momento non aveva senso ricordare! Le cose scorrono, vanno avanti, non si torna indietro: probabilmente se fossi rimasto in Inghilterra le cose non sarebbero andate meglio… magari avrei anceh litigato con i nonni chi può dirlo? La vita, come la storia, non si fa di se… Ed io ero andata a prendermela, fra tutte le persone proprio con lei. Ellie.
La osservai, mentre con uno sguardo enigmatico e per me indecifrabile si avvicinava al tavolo reggendo quel vassoio in mano.
La sua aria era un misto di stizza e dispiacere… Forse era colpa mia? Doveva.. prima era contenta e sorridente giusto?
Mi sentii in colpa, sì. Come se quella giornata non facesse già schifo di per sé, arrivò ad aggiungersi alla lista di schifezza, anche quel senso di colpa che non avevo proprio la forza di reggere… Non dico che mi veniva voglia di piangere, non avrei mai pianto in sua presenza… ma… beh… sì, in realtà avevo proprio voglia di piangere.
Non appena me la vidi di fronte, realizzai che probabilmente non avrei resisistito…
Fu così che di slancio mi alzai, proprio mentre lei si stava risedendo e con voce frettolosa per evitare che si percepisse alcuna nota nel mio timbro, fosse di insoddisfazione, malinconia o nostalgia, dissi: ”Vado a lavarmi le mani e torno… Scusa.”
E mi voltai, spasmodicamente alla ricerca di quella toilette che vedevo come l’unica via di rifugio… perché più mi concentravo sui miei pensieri, sulla mia vita, su Ellie stessa forse, mi veniva un nodo in gola.
Mi buttai dentro al bagno e chiudendomi la porta alle spalle restai placido a fissare lo specchio sul lavandino, le mani appoggiate al lavabo. Fantastico.. ora che finalmente ero solo, le lacrime si erano congelate e mi ritrovavo solo vacuamente a fissare la mia faccia riflessa che parlava da sola come un monito… Mi guardavo e mi odiavo da solo in quel momento… Ed il cuore batteva più forte del normale, come se tutti quegli sbalzi di emozione lo facessero impazzire.
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view post Posted on 7/12/2011, 16:47
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Eloise Hawking
Basta. Basta! Dove cavolo era finita miss cuore di ghiaccio, dove si era andata a nascondere colei che conoscevo da ben diciannove anni, otto mesi e non so quanti cavolo di giorni esatti, dato che la matematica non sarà mai il mio mestiere? Insomma, senza usare perifrasi cretine e tutto il resto... non mi riconoscevo più. Non perché fossi cambiata così radicalmente nel mio rapportarmi con il mondo, però. Era più un qualcosa di interno, qualcosa che sentivo. Di volta in volta, mi rendevo conto di come, in modo sconcertante, stessero affiorando lati di me che mai e poi mai avrei considerato, in condizioni normali. Insomma, stava affiorando una Ellie del tutto diversa dal solito. Una Ellie... emotiva. Quando mai mi preoccupavo così tanto? Quando mai mi facevo pare del genere? E soprattutto, quando mai la mia attenzione era così dannatamente focalizzata su qualcuno?
Ecco, in un modo o nell'altro, ricadiamo proprio in questo problema. Mi sentivo strana, diversa, emotivamente instabile... e tutto per colpa di Mark, diciamocelo chiaro e tondo. Era inutile che cercassi di negarlo anche a me stessa. Almeno con il mio stesso conscio, potevo lasciar trapelare la cosa. Ad un livello più altro non sarebbe mai risalita, questo è chiaro, però... fin lì non potevo non farla arrivare. E il perché è molto semplice. Cominciava a straripare, ad agitarsi. In un modo o nell'altro, sarebbe saltata fuori. Controllarla, o almeno, provarci, era l'unica cosa che potessi fare.
Tuttavia, ammissione a parte, continuavo a sentirmi nello stesso, identico modo. Da schifo. O fragile, se volete. Perché essere così esposta? Non aveva senso! Per di più, avevo una paura folle che qualcuno, e, in particolare, che lui potesse intuire qualcosa. Non avevo fatto che accendermi e spegnermi, da quando finalmente -ecco, vedete?!- mi aveva raggiunta. E... e adesso le cose non facevano che peggiorare.
Nel giro di pochi minuti la situazione era seriamente degenerata. Oltre ad essermi praticamente immedesimata, provando quella stupida, stupidissima empatia, ero quasi arrivata a farlo parlare. Non volevo torturarlo, però. In quel caso, non ci sarebbe stato niente di strano. Il mio scopo era tutto l'opposto, invece. Volevo aiutarlo, volevo farlo sentire meglio. Come, in fondo, lui aveva fatto con me. Invece, per un fortuito caso, la situazione si era rovesciata. Adesso era lui a sorridere, preso da chissà quali pensieri. Mentre io... io come mi sentivo?
In condizioni normali, avrei fatto un'analisi critica e puntualmente del mio e del suo stato d'animo. Ma adesso... ne avevo paura. Avevo una gran fifa, sì. Guardarmi dentro, fare chiarezza su quello che provavo? No, assolutamente no! Non sono masochista, non cerco di peggiorare ulteriormente le cose. Quel groviglio di emozioni, quel groppo alla gola... dicevano già fin troppe cose. Tutto, nella mia testa, urlava tradimento. O meglio, c'era anche una parte della mia mente, una piccolissima parte, che si comportava normalmente. In modo razionale ripeteva che non quel termine era del tutto improprio. Tradimento da cosa? Non siamo forse liberi di fare quello che ci pare? Mark non voleva parlare con me, punto. E trovava molto più conforto in due righe comparse sullo schermo di quel dannato marchingegno. Dovevo accettarlo, diceva la razionalità. Non potevo farci nulla.
Ovviamente, però, momento dopo momento, il resto dei miei pensieri finirono per sommergere quel piccolo barlume di sanità mentale che mi rimaneva. Anche perché, lo ammetto: mi sentivo ferita nell'orgoglio. Ero davvero così microscopicamente irrilevante? Davvero il mio aiuto era del tutto inutile, ai suoi occhi? Non riuscivo nemmeno a pensarci, figuriamoci a crederci! Lo so, è vero, la mia autostima di certo non è carente. Ma guardate anche le cose da quello che ritenete essere un punto di vista più oggettivo: ormai i fatti non facevano che confermarlo. Eravamo vicini, eravamo amici. Quella dannata fiducia che non faceva che tornare fuori avrebbe dovuto esserci, appunto. Insieme alla complicità, mi aspettavo anche qualcosa del genere. Un appiglio. Per quanto abbia sostenuto, sostenga e sempre sosterrò di non aver bisogno di niente e di nessuno, ammettevo e mi rendevo conto che, però, Mark giocava un ruolo importante in questo campo. Anche solo come valvola di sfogo... io sapevo che lui c'era. Ma lui? Poteva dire lo stesso di me? Mi riteneva tale?
Ancora, cercai di contenermi, non volevo andare sempre più a fondo con quel ragionamento. Da lontano ero finita a spiarlo, in subbuglio. Sorrideva. Sorrideva. Sorrideva! E il merito non era mio. D'accordo, in realtà la mia stessa mente non poneva le condizioni in questo modo, ma per semplificare, sì, come termini possono andare. Io volevo aiutarlo. Volevo che sorridesse a me e per me. Volevo che sentisse quello che sentivo. Almeno un pochino...
Mi zittii, ripetendomi di piantarla, con ragionamenti così insensati e melensi. Il mio cervello era regredito ai sette anni? No, seriamente, non c'era altra spiegazione! Anche perché, una volta sollevato strettamente tra le mani il vassoio con tazze e biscotti, mi passò veramente per la testa di rovesciargli accidentalmente tutto addosso. Ustioni di chissà quale grado, uh uh. Altroché vendetta servita fredda... ecco, vedete? Stavo delirando! E del tutto, per giunta! Resistere a quell'istinto, però, fu veramente difficile, così come fu difficile controllare la mia stessa espressione, mentre mi riavvicinavo. Cercai di guardarlo il meno possibile, respirando con calma, come se quegli stupidi gesti potessero davvero aiutarmi.
Autoconvicimento, forza! Mark stava meglio, questo era l'importante. Io e le mie stupide pare dovevamo solo andare a farci un giro. D'accordo, non avevo fatto nulla... ma allora? Perché dovevo prendermela tanto per una cosa del genere? Presi a ripetermelo ossessivamente, ottenendo come risultato solo una maggiore irritazione. Anzi, per quanto stessi cercando di mantenere un'espressione fredda e distaccata, non riuscii a guardarlo appena accigliata, e, lo ammetto, un tantino scossa e scocciata. Di bene in meglio! Un altro po' e mi sarei messa ad intonare un canto di dolore in mezzo al bar! Feci una smorfia, al sol pensiero, sbattacchiando con un po' troppa forza il vassoio sul tavolo. Ovviamente non dissi nulla, decisa a tenere la bocca chiusa. Doveva essere lui a parlare, non io!
Aspettare che lo facesse, però, fu a dir poco snervante. Dopo aver appoggiato il cibo con fare decisamente sgarbato ed impulsivo avevo cercato di sedermi in modo un po' più decoroso, ritrovandomi però tutta appollaiata sul bordo della sedia. In tutto questo, Mark non aveva proferito parola. Si era limitato a sorridere. Esatto. Sorrideva, ancora. E quel gesto, adesso, così di vicino, mi faceva ancora più male.
Sentivo l'irrefrenabile voglia di dire qualcosa, anche solo per schernirlo, anche solo per rompere quel pesantissimo silenzio. Ma, ovviamente, l'orgoglio ebbe la meglio. Rimasi dunque completamente muta, aspettando. Perché non parlava? Perché non faceva nulla? Potevo prendere la porta ed andarmene...! Invece, ad un tratto, lo vidi alzarsi e, senza troppi convenevoli, sparire. Per una frazione di secondo incontrai il suo sguardo, che, però, fuggì subito dal mio. Aveva gli occhi dannatamente lucidi. Fu solo per un istante, ma mi sentii nuovamente da schifo. Stavolta, però, la colpa era unicamente mia. Mi si leggeva così tanto in faccia quello che pensavo? Era così evidente quanto fossi furente e... delusa?
Sospirai, passandomi una mano sul viso, con una smorfia di disappunto. Una frana, ecco cosa sono. Non l'ho mai pensato e sicuramente finirò per ritrattare... ma era così che mi sentivo. Non ne stavo imbroccando una giusta, facevo un errore dopo l'altro. Forse... il cellulare. Lo sguardo mi cadde sul cellulare. Mark l'aveva lasciato lì, l'aveva abbandonato sulla sinistra del tavolo. Fu un attimo. Ci volle un solo istante, per arrivare sulla via del non ritorno. In realtà, lo ammetto, non ci pensai molto a lungo. Un momento prima mi guardavo intorno sconsolata, un momento dopo tenevo tra le mani il telefono, premendone ossessivamente i tasti.
Ho sempre sostenuto la privacy. Spiare nelle cose altrui... non lo farei mai. Eppure, era esattamente quello che stava succedendo. Con i pollice feci pressione sul tasto del menù, entrando subito in messaggi. Lo stavo facendo, lo stavo facendo davvero. Quante volte avevo disapprovato quel comportamento! Quante volte avevo dato della merda a chi, invece, si divertiva con quel giochetto! Non ero affatto scusata, per quanto le mie dita fossero più veloci di quel cervello, per un'assurda casualità. Una sfilza di messaggi si presentò al mio sguardo. Tra i tanti nomi, uno mi saltò subito all'occhio. Non solo perché era l'ultimo ad aver mandato qualcosa, ma anche perché... di quelle M. ce n'erano parecchie. Febbrilmente, mi affrettai ad aprire l'ultimo messaggio ricevuto.
”Ciao tesoro. E’ incredibile come non riusciamo mai a incontrarci. Ieri sera avevo il cellulare spento e stamattina, trovando la tua chiamata, ho provato a mia volta, ma non mi hai risposto tu; probabilmente eri a scuola vero? Beh, appena puoi aspetto di sentire la tua voce, anche solo per sapere come stai. Mi manchi. Un bacio.”
Con gli occhi spalancati, lo rilessi più volte, come per accertarmi di aver capito bene. Un cortocircuito, ecco cosa avvenne nel mio cervello. Non riuscivo più a pensare, a connettere. Tutto era stato sommerso da una ventata gelida e possente, un'onda che in un attimo mi trascinò nel baratro. Ora si spiegava tutto.
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view post Posted on 7/12/2011, 22:17





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Mark Pace
Una figura che riconoscevo quasi come estranea era quella che lo specchio del bagno mi rimandava indietro. Non volevo pensare di essere io l’essere che mi fissava con quell’aria completamente abbacchiata e scossa, perché non era nemmeno da me. Avevo gli occhi persi nel vuoto, le labbra tendenti inevitabilmente verso il basso, le sopracciglia stesse aggrottate e pensierose. Era come se stessi recependo benissimo sensorialmente quello che accadeva in me e su di me, come il mio corpo, insomma, stava reagendo inevitabilmente a quella giornata negativa, ma di fatto non avessi ancora portato all’inconscio tutte le ragioni per cui mi sentivo così. Sentivo che mi mancava un passo per capire quella che era davvero la realtà, eppure nonostante questo non riuscivo ancora a focalizzarla e la cosa mi dava un fastidio tremendo.
Prendiamo Ellie, insomma, al momento l’avevo mollata nell’altra stanza da sola, in compagnia di quelle due tazze di cioccolata che lei aveva avuto la cortesia di ordinare anche per me e che sapevo aveva scelto di proposito, perché erano la cosa che mi metteva sempre di buonumore, come avevo sottolineato tantissime volte.
Insomma, da parte sua si era sforzata in tutti i modi da quando ci eravamo visti a quell’incrocio di parlarmi, di farmi sentire bene… Forse vi avevo dato troppa poca importanza, ma ora davanti a quello specchio che sembrava assumere il magico valore dello specchio della mia anima, iniziavo a focalizzare tutti i momenti da quando l’avevo salutata al mio alzarmi verso il bagno e vedevo proprio come in ogni singolo istante lei si fosse spesa per darmi un sostegno, sostegno che io non avevo recepito, non avevo contraccambito e non avevo nemmeno ringraziato… Insomma, ero stato decisamente un ingrato considerando a distanza quanto aveva fatto, quanto lei aveva fatto. Ripeto, tante piccole cose a cui, in principio, non avevo nemmeno dato peso ma che ora si tornavano a presentare alla mia mente in un ottica totalmente diversa.
Nel tribunale ipotetico che le avevo messo su nella mia mente, mentre lei era al tavolo a ordinare l’avevo accusata di non dimostrarmi mai la sua amicizia… Ma in quel momento non era forse lei stessa al bancone a ordinare, cercando di concedermi un istante di privacy, o comunque per riprendermi? Non era lei, che aveva cercato di farmi ragionare in modo distaccato sulla vanità di tutte quelle mie preoccupazioni, consapevole che solo capendo con raziocinio la cosa sarei potuto stare meglio? E per di più,non era stata lei ad allungare sul tavolo quella mano che io non avevo nemmeno considerato, lasciando che tornasse a farla ricadere poco più distante dalla mia? Sì, di errori ne avevo fatti parecchi in quella mezz’ora in cui eravamo stati insieme. Probabilmente, a dire il vero, avevo fatto questo tipo di errori già da molto più tempo e lo stava realizzando solo ora.
Per esempio, lei mi stava venendo a domandare del perché io sentissi tutto quel peso e a cosa era dovuto: voleva cercare di capire per consolarmi e io non avevo fatto altro che leggere quello come una sua volontà di appagare la sua curiosità e mi ero chiuso a riccio come se facendo così potessi fare del bene a me stesso quando invece era l’ultima cosa che mi faceva bene e lo sapevo benissimo anche io.
Era stato sempre così, in fin dei conti, l’ultima volta che mi ero esposto sinceramente con lei era stato quando l’avevo praticamente pregata di perdonarmi per quel dannato errore di non dirle subito la verità riguardo alla scommessa e poche altre volte, forse quando avevo accennato a quell’insoddisfazione scolastica.
Ben poco, considerando che lei mi aveva svelato di esser stata adottata e di aver persino visto la sua probabile gemella per strada. SI era fidata di me senza riserve, con anche il rischio di esser presa per pazza ed io invece da parte mia, non riuscivo nemmeno a dirle che mi mancava casa, che facevo quella faccia triste e felice al tempo stesso perché l’sms era di mia madre, che mi dispiaceva averla abbandonata di là da sola… MI portai una mano alla testa e mi sistemai i capelli come se questo potesse aiutarmi a schiarire le idee. Poi d’un tratto, non so, fu come se percepissi di non poter lascaire che tutti questi rimanessero puri ragionamenti, ma che se volevo davvero riscattarmi, allora dovevo agire e agire in modo da dimostrare tutto ciò che nella mia mente si era delineato in quei brevi istanti.
Tanto per cominciare sarei tornato di là e, sì, avrei finalmente risposto alla sua domanda. Intanto avrei cominciato da lì e poi chissà cos’altro avrei aggiunto di quello che mi riguardava. Non fate quell’aria delusa però! Per me era già un grande passo avanti pensare a cose simili. Ero abituato a credere di dover tenere tutto per me.
Ma con Ellie, no con lei potevo decisamente parlare. Glielo dovevo. Era la mia migliore amica e mi ero comportato malissimo nei suoi confronti, per lo meno nella mia mente, ancor più che nei fatti e questo probabilmente era anche peggio.
Ripensandoci on riuscivo a darmi pace per quel pensiero che avevo fatto… Ero stato sciocco e … banale. Pretendevo di conoscere Ellie in profondità e poi facevo discorsi simili? Sapevo che certe cose erano parte di lei e forse lei era così speciale anche per quei piccoli aspetti.
Presi dunque un bel respiro, lasciai scorrere di getto l’acqua del rubinetto e mi sciacquai effettivamente le mani sotto d’istinto, poi uscii da quella gabbia che mi aveva protetto come una tana troppo tempo… Era successo tutto nella mia mente e per due minuti probabilmente, ma a me era sembrato un’eternità e di nuovo, pensare che lei era di là ad aspettarmi rendeva quell’attesa più ingiusta.
Mi avviai a passo rapido lungo il locale e finalmente la rividi seduta al nostro tavolo, con le tazze ancora intonse, le braccia conserte e un’aria strana in viso… Era come triste… lei sì. E’ vero l’avevo lasciata così effettivamente… Con quell’aria triste, ma ora era possibilmente ancora più grave ed evidente.
Mi sedetti, cercando appena di sorridere, un lieve sorriso a mezz’asta dei miei.
La osservai per un po’, poi capii che l’aria si stava facendo pesante.. Non volevo invertire i ruoli ed essere io a chiedere a lei cosa non andasse, anche perché probabilmente il problema in tutto questo ero io.
Fu per questa ragione che le dissi: ”Mi aspettavo che ti saresti buttata anche sulla mia tazza di cioccolata… Ero già rassegnato a berne metà e ora che la vedo piena sono quasi deluso.” . Avevo parlato cercando di sdrammatizzare, sì, io che sdrammatizzavo, la situazione, ma non vidi un gran miglioramento sul volto di lei. Quello che più mi preoccupava era che, a differenza di quando avevo parlato o accennato a parlare prima, ora lei non mi guardava più in viso ma fissava verso il basso o altrove. Non era da lei… Era come se volesse nascondermi qualcosa. Peccato che non avessi alcun diritto io di chiederle oltre. Sapevo che forse l’unico modo per recuperare la situazione era fare io il primo passo, proprio come quella prima volta.
All’ora avevo vinto il mio orgoglio ed ero stato io a chiedere scusa… Ora non dovevo nemmeno scusarmi solo… aprirmi: davvero temevo tanto di aprirmi con lei? Davvero ero convinto che lei mi avrebbe compatito e si sarebbe impietosita? Poteva davvero farlo lei? Forse ero davvero idiota a fare quelle considerazioni… Insomma, lei era diversa, l’ho sempre detto dagli altri.
Dovevo fidarmi… Sì, ora l’avrei smessa una buona volta e avrei dimostrato che potevo fidarmi anche io di qualcuno a questo mondo! Dovevo smetterla con le ansie che mi assillavano da bambino e andare oltre… Avevo persone diverse ora davanti, persone buone e disposte a credere in me. Mia madre lo era ma ora non c’era lei lì davanti a me, c’era Ellie e meritava tutta la fiducia di questo mondo. Ellie.. dissi sperando di incontrare quei suoi occhi distratti. Ci fu un istante di esitazione, non so se di riflesso dalla sua reazione o se fosse stato dentro di me… ma poi avevo preso a continuare : ”Sai, credo di doverti raccontare una cosa e…”
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view post Posted on 8/12/2011, 02:09
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Eloise Hawking
Immobile, non riuscivo a non fissare lo schermo del cellulare con sguardo perso. L'avevo sempre saputo, in fondo. Fin dall'inizio, fin da quando avevo cominciato a capire quanto ormai fossi in pericolo, una parte di me era già allora consapevole della cosa. Sarebbe andata a finire male. Malissimo, anzi. Mi sarei ritrovata con un pugno di polvere in mano e sarebbe stato il meno. Il problema più grande era un altro, ovviamente. Già, si trattava di quello stesso cuore che adesso mi rimbombava nelle orecchie, coprendo tutti i rumori di ciò che mi circondava. In fondo, avevo sempre saputo che era una cattiva idea. Però, invece di tirarmene fuori già dalle prime avvisaglie, ci ero affondata dentro ancora ed ancora ed ancora. Sempre di più, sempre più a fondo.
Scontrarsi con la realtà, dunque, era come andare a sbattere contro un muro di cemento armato, o, peggio, di inscalfibile metallo. Eppure, continuava a ripetermi una vocina insistente nella mia testa, dovevo aspettarmelo. Non solo mi ero fatta abbindolare, ma una parte di me aveva persino sperato, nel profondo, che accadesse qualcosa. Ancora quei sogni da stupida tredicenne, ancora quei discorsi smielati assolutamente non da Eloise. Ma non c'era stato nulla da fare. C'ero caduta, come un'idiota, e continuavo a caderci. Adesso, però, quel piccolo barlume di speranza si era spento, di colpo. Non avevo nemmeno più di che preoccuparmi, se vogliamo. Non c'era nulla da fare.
Non ero io. Non ero cosa? Non sapevo nemmeno come definire il tutto. Anzi, non volevo nemmeno farlo. Trovarmi faccia a faccia con quelle lettere forti e chiare, però, era un continuo domandarsi come chiamare quello che avevo davanti. Lo stesso sorriso di Mark, che non faceva che tornarmi in mente, ne era un chiaro segno. Tuttavia, non c'erano molte scappatoie. Comunque decidessi di chiamare quella M. il suo ruolo era molto chiaro. Era lei quella che gli stava a cuore.
Lo rilessi, ancora un'altra volta, accorgendomi di averlo già imparato a memoria. Mi maledissi, sentendomi una maniaca. Perché diavolo l'avevo fatto? A cosa mi sarebbe servito, umh? L'unica cosa che poteva scaturire, da quella stupida memorizzazione, era il continuo presentarsi di quel messaggio nella mia mente. Sì, era passato scorrerlo qualche volta perché mi si ficcasse nel cervello. Adesso potevo anche non guardare più il cellulare. Mi bastava battere le palpebre e quelle parole tornavano fuori, a farsi beffe di me. Io, intanto, le guardavo da sempre più in basso, affondando in un buco di vergogna e dispiacere.
Sarebbero infiniti i modi per descrivere come mi sentivo in quel momento. Nessuno di essi, però, sarebbe realmente efficace. Da una parte mi sentivo vuota e gelida come non mai, totalmente incapace di provare qualsiasi cosa. Ma dall'altra... dall'altra faticavo persino a connettere, tanti pensieri mi si accumulavano nella testa. E poi, c'era quella sgradevolissima sensazione all'altezza del petto. Mi avevano strappato via qualcosa o semplicemente tutto era diventato pesante come la pietra? Mi accorsi di star trattenendo il respiro, finendo per scoppiare in un sospiro sonoro ed annaspante. Dannazione, ci mancavano solo le reazioni fisiologiche! Avevo già abbastanza dispiaceri anche solo guardandomi nella testa, figuriamoci se dovevo anche preoccuparmi di quello che mi grava dentro, dallo stomaco al... cuore.
In un atto puramente masochistico, premetti il tasto per tornare indietro. Nuovamente mi trovai davanti una fila di messaggi ricevuti, di cui almeno la metà recava quella semplice lettera puntata. Li scorsi, in fretta e sommariamente, senza nemmeno pensarci. Per un qualche oscuro e soprattutto masochista motivo volevo sapere. Ero quasi convinta che un'analisi del modo di scrivere e di porsi di quell'incognita M. potesse farmi capire dove avevo sbagliato e dove invece lei aveva vinto. Tuttavia, ovviamente, quella stupida idea non fece che peggiorare le cose. Mi trovai davanti altri messaggi sdolcinati e pieni di tenerezza, tutte cose di cui io non sono affatto capace. Per non parlare, poi, del rapporto che si poteva benissimo desumere da quello che avevo davanti agli occhi. La fantomatica M. e Mark dovevano essere vicini. Molto vicini. Intimi, insomma. Anche solo quella parola mi faceva venire i brividi, attanagliandomi anche lo stomaco con un senso di nausea.
Cos'era quella? Non volevo nemmeno darle un nome. Sapevo benissimo di cosa si trattava, sebbene, all'incirca, non l'avessi mai provata. Ma, per quanto io sia sbadata e scostante, ci sono cose che capisco al volo. Voglio dire, probabilmente è così per tutti, per una dannatissima volta non voglio arrogarmi meriti, seppure, appunto, giustamente guadagnati. Per dirla in modo semplice, alle volte non è poi così difficile capire cosa si sta sentendo, pur non avendo mai provato nulla di simile. In quelle settimane avevo cercato di soffocare ognuna di queste sensazioni, ma tutto mi si era solo ritorto contro. Quello stesso momento non faceva che confermare ancora ed ancora la cosa. Ero gelosa. Ero gelosa marcia.
Il viso mi si imporporò, a quel pensiero, mentre sulle labbra mi si dipingeva una smorfia di stizza. Ehi, e adesso cosa mi prendeva? Non mi sarei messa a piangere, vero? Io non piango mai! Né ho mai pianto in pubblico. Già una volta ero quasi arrivata al punto di non ritorno. E, guarda a caso, avevo davanti proprio Mark. Allora, però, la colpa non era stata sua. Era tutto nella mia testa... una vocina mi disse che anche stavolta, in realtà, le cose stavano così. Era successo tutto nella mia mente. Non c'era mai stato nulla. Io mi ero fatta fin troppi viaggi. Io mi ero messa da sola in quell'insostenibile situazione. Ovviamente, però, ricacciai indietro quel pensiero, unendovi le lacrime. Uno, non avrei pianto per una cosa tanto stupida. Due... c'era troppa gente, lì intorno. E, soprattutto, Mark poteva tornare da un momento all'altro.
In effetti ancora non avevo collegato la cosa, dato che stringevo il cellulare tra le dita. All'improvviso sussultai, come fulminata, e mi affrettai a chiudere ogni cosa, riponendolo esattamente dove l'avevo trovato. Non era successo nulla. Nessuno doveva saperlo. Io stessa, in primis, dovevo dimenticare tutto. Cercai di concentrarmi sulla cioccolata calda, ma non ci riuscii. Il profumo che ne scaturiva mi faceva aumentare la nausea.
Incrociai le braccia al petto, facendomi indietro, per non sentire l'odore della bevanda. Sì, era solo una questione di pancia, di stomaco... solo quello era in subbuglio. Non era la mia mente a tornare ancora ed ancora ad ogni singolo particolare, non era il mio cuore a battermi martellante ma incerto nelle orecchie. Avrei voluto urlare, rompere quello strumento di tortura che si era rivelato essere il cellulare, prendermela con Mark ed infine fuggire. D'accordo, forse la penultima cosa non c'entrava nulla, ma mi sentivo tremendamente arrabbiata. Sì, questo poteva andare, come sentimento. Sono sempre stata una persona piena d'ira, lo ammetto senza problemi. Sentirmi così, dunque, poteva andare.
Peccato, però, che la cosa fosse estremamente riduttiva, se non potenzialmente inesatta. Insomma, è vero, ero incazzata nera... ma questa era solo la superficie. Dentro le cose andavano molto, molto peggio. Il tradimento, adesso, era diventato reale. Così come la mia delusione. E il mio dispiacere. Non ero niente, niente, niente ai suoi occhi. Solo un'acida rompiscatole raccattata alcuni mesi prima per caso. Oh, se solo l'avessi piantato allora, prima di finire in tutto quel casino! Come avevo fatto ad essere così stupida?! Sono una persona brillante, io, una persona che tiene alla propria salute mentale. Sto sempre attenta ad ogni cosa... ed invece guardate in che pasticcio mi ero cacciata.
Nuovamente, provai fortissimo l'istinto di piangere. Perché dovevo starci così male? Era successo tutto nella mia testa e lì sarebbe finito. Dovevo estirpare quel malanno alla radice, toglierlo da me, bruciarlo. Ma come? Masochisticamente, quasi mi crogiolavo nel mio stesso dolore. In fondo, io me l'ero cercata. Se fossi stata più furba avrei capito fin da subito la pericolosità della cosa. Invece, da vera idiota, non avevo fatto che andare sempre più a fondo. Ed ora ne pagavo le conseguenze.
Con sguardo perso, quasi non mi accorsi del suo ritorno. Eppure, pur sussultando, dentro, al suo della sua voce, esternamente rimasi immobile. Brava Ellie, questa è la strada giusta. Freddezza. Distacco. Menefreghismo. Peccato, però, che fosse tutto una farsa. Il tumulto continuava, nella mia testa, nel mio stomaco, nel mio petto. Non lo guardai nemmeno in faccia, quando tornò a sedersi. Mi limitai a fissare un punto indefinito alla sua destra, cercando ancora di apparire del tutto lontana da quella situazione. “Mi è passata la fame.” mormorai perentoria, del tutto lontana dal mio solito tono o modo di fare. Beh, in fondo era vero. Il solo odore della cioccolata calda mi faceva venire il voltastomaco, adesso.
Fu solo a quel punto, però, che mi resi conto di una cosa. Adesso Mark era realmente davanti a me. Era tornato. Ero faccia a faccia con il problema numero uno: lui, appunto. Fui presa dal panico. Cosa dovevo fare? L'unico modo era fuggire. Lo dicevano già gli antichi, no? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Queste massime mi sono sempre state sul cazzo e sempre sarà così, ma, in quel momento, non vedevo altra soluzione. Non avrei retto un confronto, né tanto meno una normale conversazione. Anche solo la sua vista mi faceva male. Dovevo andarmene, ed anche in fretta. Dovevo andarmene, prima di... scoppiare.
Mentre pensavo ad un diversivo, notai che era calato nuovamente il silenzio. Ennesimo colpo. Ennesima conferma del fatto che fossi io quella a spendersi, sempre e comunque. Che stupida, che stupida! Come avevo potuto non capirlo prima? In ogni caso, però, cercai di mantenere, almeno esteriormente, un comportamento pacato. Continuavo a non volerlo guardare, quindi sfuggivo ai suoi occhi, che, non si sa perché, cercavano i miei. Lo sentì chiamarmi, all'improvviso. A quel punto, per un solo istante, lo guardai. In quell'occhiata non riuscii a non riversare tutta la tristezza che sentivo dentro. Mi parve persino di notare nuovamente un che di lucido, nel suo sguardo. Ma, in fretta, prima che potesse trarre qualsiasi conclusione, mi distaccai. Doveva... doveva raccontarmi qualcosa.
Rabbrividii al solo pensiero. Era la mia ultima possibilità. L'ennesimo punto di non ritorno. O fuggivo adesso... o mi avrebbe detto di lei. La fantomatica M. No, non potevo permetterlo. Irrazionalmente, decisi che sentirmi parlare di un'altra sarebbe stato solo peggio. Una parte di me sapeva che, invece, così, mi sarei avviata -forse- sulla via della guarigione. Sul momento, però, non presi nemmeno in considerazione questa alternativa. Non volevo sentirlo. Non volevo sentirmi ancora peggio.
Così, approfittando della sua ennesima pausa, mi stampai in faccia un'espressione sorpresa e rammaricata. Per quest'ultima non fu difficile, ma dovetti comunque celare le reali motivazioni di quella mia faccia. “Merdissma!” sibilai a denti stretti, tirandomi in piedi. Guardavo l'orologio posto sulla parete dietro di lui, a parecchi metri di distanza. “E' il 12 oggi, vero? Me n'ero completamente dimenticata!” Ovviamente stavo improvvisando, quindi sperai di risultare credibile. “Se perdo la lezione di oggi pomeriggio quella bastarda della professoressa se lo segna, per il prossimo esame.” Con convinzione Eloise, con convinzione. Mi infilai in fretta e furia la giacca, affondando il viso nella sciarpa. “Scappo, prima di compromettere la mia intera vita scolastica!” tentai di scherzare, con una risatina metallica e fastidiosa persino alle mie orecchie. “Bevi anche la mia, malfidato che non sei altro... e spero che i biscotti ti vadano di traverso!” aggiunsi con un sorrisetto sarcastico, guardandolo solo per un istante. Una delle mie normale battutine di scherno, in teoria, quella.
Un momento dopo, già fuori dal bar, ci riflettei, notando l'immensa ambiguità della cosa. Poco male, non l'avrebbe colta nessuno, all'infuori di me. Rimasi per un istante ferma, per guardarmi indietro. Era già la seconda volta che fuggivo da lui. Ennesimo comportamento del tutto fuori di testa, per i miei standard. Non potevo, però, farne a meno. Decisa a non girarmi un'altra volta, cominciai dapprima a camminare con passo spedito, ritrovandomi poi a correre, pochi metri dopo, verso non si sa dove. Le prime lacrime già cominciavano a farsi spazio tra le ciglia, offuscandomi la vista.
Ero fottuta.
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Working on a dream
view post Posted on 9/12/2011, 21:55





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Mark Pace
Eccomi lì davanti a lei, appena seduto con le mani sotto al tavolo a distruggersi le pellicine… Dovevo stare calmo, rilassato, non stavo andando al patibolo, dovevo solo raccontare di me, aprirmi realmente con la mia migliore amica. Era una cosa che tutti facevano tutti giorni, la genta ama farsi notare, esporsi, fare in modo che tutti sappiano tutto di loro e simili, quindi perché farsi tanti problemi? Chissà magari era tutto nella mia mente, magari ero solo io a dare importanza a quegli eventi, magari raccontandoli a lei avrei realizzato quanto vane e sciocche fossero state le mie preoccupazioni a riguardo e il mio panico all’idea di esser deriso o peggio ancora compatito.
Eh già, sempre lì si torna, sempre quello era il blocco che mi impediva di andare dritto al punto, restando come un idiota in silenzio, quando avevo sempre da dire. Ma voi vi ricordate i primi due incontri con Ellie? Tacere era la sconfitta, il segno della mia inferiorità rispetto a lei, avevo lottato con tutto me stesso per dimostrare che invece ero come lei e che la pensavo come lei, ora potevo dunque mandare a puttane tutta quella mia facciata per … qualcosa che in fondo non dipendeva da me? Non l’avevo certo scelta io la mia famiglia, padre in particolare, come diceva il vecchio Wilde… Speravo solo che quanto alla somiglianza padri e figli si sbagliasse, perché era quello che avevo tentato di evitare sin da ragazzo. So che la risposta alla domanda che mi aveva fatto sarebbe stata in realtà molto più semplice, ma sapevo anche che una risposta degna di Ellie e dell’aiuto e dell’attenzione che mi dedicava avrebbe implicato andare oltre a quella superficiale presentazione della mia condizione. Insomma, il non farcela dipendeva strettamente dal mio senso di oppressione rispetto alle aspettative che tutti avevano su di me, aspettative che nascevano dal fatto che io avrei dovuto in teoria risanare la famiglia, costruirmi un futuro che fosse finalmente in salvo da rischi dovuti alle finanze, fare insomma di me un uomo migliore in un certo senso e di status sociale superiore. Sapete però che la catena non finiva qui… se eravamo messi così era anche colpa sua… Se lui fosse stato un uomo diverso forse la mia vita sarebbe stata diversa e non sarei cresciuto con la costante idea di andarmene dalla mia terra, per poi esser bloccato altrove a sognarla… Vi rendete conto che per almeno una decina di volte da quando ero lì avevo sognato Londra? Vi sembra normale sognare la vostra patria manco fossi un esule politico? No! I giovani dovrebbero poter vivere la loro vita come vogliono giusto? Solo a me non era dovuto… Io ero stato in un certo senso obbligato a maturare prima, l’ho sempre saputo… Quindi vedete, parlare con Ellie avrebbe significato raccontarle tutto questo e anche di più e se già al pensiero mi sentivo debole e precario, sapevo che parlando ad alta voce non sarei riuscito a mantenere la solita aria impeccabile e impenetrabile che lei mi aveva sempre rimproverato.
Non ero nemmeno sicuro di riuscire ad accettare per mio personale orgoglio il fatto di mostrarmi tanto debole. Non era mai successo prima se non appunto con i miei parenti più stretti… mia madre, i miei nonni. Triste dite? Perché? Preferite quelli che dicono tutto a tutti fidandosi del mondo intero e rimanendoci poi male perché un segreto tira l’altro e i loro fatti son di dominio pubblico? Perfetto, fatevi avanti, io non sarò mai così, son diffidente di natura.
Però… fissavo Ellie, lì seduta di fronte a me: c’era qualcosa di strano in lei in quel momento… non sembrava lei. Il suo viso era spento, i suoi tratti appesantiti, i suoi occhi vacui e… sì, evitava il mio sguardo. Lei non evitava mai il mio sguardo! Insomma, a volte a noi era bastato uno sguardo per intenderci mentre ora… era distaccata sì.
E quanto fu fredda la sua risposta alla mia battuta. Fredda? No. Glaciale. Posso dirlo con sicurezza perché mi si raggelò davvero il sangue nelle vene, mentre la mia fronte si corrugava. Che era successo alla mia Ellie? A quella persona che nel bene e nel male mi diceva sempre tutto in faccia? Era tutto avvenuto da quando avevo evitato la sua domanda lo so… Da quando per leggere quell’sms l’avevo abbandonata a sé stessa, per poi abbandonarla di nuovo nella mia stupidità dopo che lei mi aveva anche fatto il favore di lasciarmi un minimo di intimità ordinando la cioccolata.
Presi un piccolo respiro, il viso indubbiamente serio. Avevo pronunciato il suo nome per attirare la sua attenzione. Lo so, in realtà non sapevo nemmeno io bene il perché, ma avevo bisogno di un contatto, di non sentirmi escluso. Mi ritornò subito alla mente quando mi aveva mollato come un idiota in pizzeria quella sera… Non doveva ricapitare. Ora dovevo decidere… Avevo fatto gli ennesimi accenni, era il momento di scegliere. Esporsi o no. Fidarsi o no. Stringere di nuovo il rapporto o no. Secondo voi ero davvero in grado di pensare anche lontanamente di litigare con lei? O di vedere allontanare da me la persona che mi stava più vicino?
Fu quello forse il movente che mi spinse a dire che dovevo continuare.
Nient’altro avrebbe potuto convincermi con maggior forza persuasiva di quel timore per niente celato nel mio cuore. Non potevo perdere la sua amicizia.
Se lei si era sentita tagliata fuori, se lei ora sentiva il bisogno di trovare in me una figura che si confidava ricambiando quell’apporto che io avevo dato a lei circa un mese prima, se io in sostanza volevo dimostrare quanto ci tenevo dovevo espormi e raccontarmi.
Inutile dirvi che il cuore mi batteva forte, perché mai mi ero spinto anche solo a pensare di dire. Volevo che qualcosa da un momento all’altro sbloccasse la situazione salvandomi ma mi continuavo a ripetere che non era possibile e che ora stava a me scegliere e le opzioni erano chiare ed evidenti davanti a me.
E così, dopo l’ennesima terrorizzante pausa, incontrai per un istante solo lo sguardo di Ellie, uno sguardo che non saprei come definirvi se non deluso.
E fu la goccia che fece traboccare il vaso. Dovevo parlare, ora o mai più. E così avevo fatto.
Fu solo l’attacco di un discorso ben ampio, lo riconosco, ma da qualche parte dovevo pur iniziare. Ora però nella mia mente non sapevo come proseguire. Cosa dire per prima cosa da dove partire? Dovevo organizzarmi un bel discorso, per cercare almeno di far chiarezza dentro di me.
Un istante, davvero un istante era passato, forse meno di due secondi nel momento in cui lei parlò, interrompendo il filo dei miei pensieri.
Si era alzata… Un momento, perché si era alzata? Lei doveva stare lì! Stavo finalmente parlando e che cazzo! Mi stavo aprendo per una fottuta volta nella mia vita e perché lei ora mi stava lasciando lì? Ma che stava dicendo?! Vaneggiava? Professore, esame?! Di che parlava? Perché solo ora se ne ricordava? Ora che io avevo bisogno di lei, o per meglio dire, bisogno di riaffermare me con lei? Ora che per una volta qualcosa aveva vinto sul mio orgoglio e sulla mia diffidenza e si dimostrava pronta a parlare ed esprimersi appieno.
La fissavo incredulo mentre quel fiume in piena di parole mi faceva praticamente affogare.
Ma non era ancora finita. Il quoziente da sopportare per quel giorno da dimenticare non era ancora giunto a conclusione: quella risata, finta e agghiacciante quasi alle mie orecchie. Non era il suo solito sarcasmo, era una risata che celava solo … rimprovero? Non penso che suonasse così solo a me. Mi sentivo scendere una ghigliottina sulla testa e non potevo fare a meno di continuare a paragonare quella scena a quella della pizzeria.
Infine, quell’ultima frecciata… Non so… non mi sembrò neanche quella una normale battuta, quanto un vero e proprio augurio. Forse mi stava venendo la coda di paglia… O forse tutto questo era dovuto a un orgoglio ferito perché si sentiva abbandonato nel momento in cui lui si prendeva la briga di parlare. Ellie era uscita dal bar, mollandomi lì, davanti a quelle due tazze di cioccolata di cui detestavo anche solo la vista, di quel cellulare che conteneva ancora quell’sms di mia madre probabilmente in schermata appena disattivato il blocco e infine… con quelle mille domande e quei mille sentimenti che mi circolavano per la testa.
Un secondo provavo stizza e rabbia, quello dopo mi rimproveravo di comportarmi solo come un bambino viziato che voleva tutti al suo servizio quello dopo mi angosciavo all’idea di esser lì solo.
Rimasi ancora un quarto d’ora lì solo a quel tavolo, senza aver la forza di bere nemmeno un sorso di quelle cioccolate ormai fredde.
Dovevo sembrare un pazzo al barista ma chi se ne frega, sinceramente. D’un tratto, mi alzai, passai mollando i soldi sul bancone e uscii in strada con la giacca ancora in mano, pronto a farmi cogliere dall’ondata di gelo new yorkese, il cellulare nell’altro palmo…
Guardai quello schermo su cui mi comparve lo sfondo con il mio Freddie. Cliccai su ultime chiamate e guardai l’elenco… Ebbi la tentazione di cliccare Ellie, ma poi mi dissi che era inutile, lei era a lezione… E scesi un tasto più in giù inviando poi la chiamata a quella M. che sapevo mi avrebbe in qualche modo fatto star meglio.
HOLD OUT YOUR HANDS CAUSE FRIENDS WILL BE FRIENDS
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14 replies since 13/11/2011, 23:03   281 views
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