Sono impulsiva, questo è vero. Ma, nel parlare, tendo invece ad essere molto più razionale, a riflettere, prima di dire qualcosa. Certo, avevo pensato a quelle parole, prima di dirle. Però, solo una volta finito, tornai a ragionare su di esse. Non tanto sul loro significato, essendo profondamente convinta di quello che avevo detto, quanto... beh, la cosa in sé vi basta come spiegazione? Ero stata... non lo so, come dire se non fin troppo gentile? Lo so, lo so, non dovrei nemmeno lontanamente avvicinarmi a questioni come queste. E' innegabile, però, che la cosa potesse risultare inusuale. E non solo ai miei occhi. Insomma, non sono certo un esempio di bontà, ecco. Ritrovarmi a fare da consolatrice, quindi, era qualcosa di nuovo. Tento di farmi in quattro per le persone a cui tengo, ma, sapete com'è. La mia fama mi precede. Non sono esattamente tipo in grado di mettersi lì ad ascoltare, dispensando poi consigli. Poca pazienza a parte, credo che ormai tutti abbiano capito come, volente o nolente, tenda a disinteressarmi di tutto ciò che non mi riguarda direttamente.
Adesso, invece, non solo mi stavo preoccupando di qualcosa che aveva a che fare con lui, ma... ci stavo pure male, da parte mia! Per non parlare del fatto che, appunto, nel dirgli quelle cose, me ne rendevo conto ora, avevo usato un tono e un fare praticamente mai visti. Cosa devo dirvi? Anche se ci metterei le mani sul fuoco, anche se mi farei fare qualsiasi cosa, pur di non ammetterlo, non sono un pezzo di giacchio. Di tanto in tanto questioni come queste toccano anche me. E... perché dovrei aggiungere altri particolari, umiliandomi ulteriormente? Mi sembra di avervi già fatto capire fin troppo bene il punto. Ci arrivate anche da soli, su. Insomma, se ci fosse stato qualcun altro e non Mark, lì davanti, beh... non posso garantirvi quale sarebbe stato il mio comportamento. Ma non voglio aggiungere altro!
Semplicemente, dicevo, constatai quest'ennesimo carico di novità solo a cose fatte, quando, nel silenzio, tornai a rimuginare sul quello che avevo appena espresso, aspettando però fremente che lui aggiungesse particolari. Mi accorsi anche della superficie fredda del tavolo, dove avevo posato la mano, e non riuscii a non sentirmi appena a disagio. Ovviamente mi era tornato in mente il gesto cretino di poco prima... ma quanto ero stata sciocca?! Cosa pensavo di fare, umh? D'accordo, d'accordo, forse avrei bisogno di una domanda di riserva.
Andiamo per gradi, però. C'era qualcos'altro su cui mi ero soffermata, prima di tentare ancora, stavolta contenta dei risultati, Mark. Ancora facevamo i cretini, ancora lo stavo minacciando di terribili torture, in cambio del suo silenzio. Quando lui... beh, lui se n'era uscito con qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Pietà. Probabilmente lo guardai un po' stranita, a quella parola. Insomma, non avrei mai pensato che potesse... vederla così. Su certe cose siamo dannatamente simili, giusto? Bene, ero convinta che questa facesse parte delle caratteristiche comuni. Chi mai vorrebbe far provare pietà agli altri? Pena, pietà... tutte parole negative, se applicate sulla mia stessa persona. Preferisco il disprezzo, l'odio persino, forse, a sentimenti del genere. Essere visti come i poveri sfigati di turno, quelli da compatire, non è mai bello. Anzi, è degradante.
Ecco quindi che rimasi perplessa, a quell'osservazione, e decisi di lasciarla cadere nel vuoto. Commentarla voleva dire o cominciare una discussione, oppure... scontrarsi ancora con quella che, ai miei occhi, appariva come una piccola ma pungente delusione. Così come Mark, purtroppo o per fortuna, mi conosceva -e gliel'avevo anche fatto notare, stupida me!-, io, dal mio canto, ero convinta di poter dire lo stesso. Anzi, di tanto in tanto, per non dire anche più spesso, mi scoprivo a gioire per quelle piccole comunanze che riscontravo, tra di noi, dicendomi che no, non avevo mai conosciuto qualcuno che mi fosse così... affine. Non voglio fare un discorso melenso, anzi, datemi fuoco piuttosto, però... però è innegabile, va bene?
Come se non bastasse, continuando su questa scia, mi ero quasi arrischiata a prenderlo per mano, rinsavendo solo in extremis. Insomma, di male in peggio, nel vero senso della parola. Tuttavia, le mie stesse sensazioni ero stupidamente contrastanti. Da una parte mi davo addosso, ripetendomi di piantarla con quell'atteggiamento infantile, da ragazzina infatuata. Ma dall'altra... non lo so, forse sono semplicemente masochista. Il fatto è che, nel mio stomaco, sentivo le famose farfalle, quelle che svolazzano odiosamente quando si è felicemente agitati. Ah, quanti ossimori! E poi dovrei anche non essere sul punto di impazzire? Quando mai! Andavo di male in peggio, seriamente. Come cavolo ero finita a bearmi e dannarmi per una sola cosa?
Sperai, almeno, che Mark non avesse notato quel cambiamento, se così vogliamo chiamarlo, e che non mi si leggesse nemmeno in faccia tutta la confusione che provavo dentro. In realtà, per questo, potevo anche stare tranquilla. Erano giorni, per non dire settimane, che la cosa andava avanti così, ma niente o nessuno mi aveva mai rimbeccato. Insomma, evidentemente sono una brava attrice. Oppure, più semplicemente, sono fin troppo abituata a nascondere una parte di me... ma ehi, che cavolo sono questi discorsi? Io che mi sminuisco? Altroché pazzia, qui stiamo proprio degenerando nel modo più assoluto. Solo che, più ci pensavo, più il rischio si faceva alto. Non doveva trapelare nulla, assolutamente nulla.
Per fortuna, o meglio, purtroppo, in realtà, ben presto altri problemi assorbirono di nuovo la mia attenzione. Eh già, rieccoci. Focalizzai i miei pensieri su di Mark, aspettando trepidante una sua risposta. D'accordo, mi rendevo conto che, in effetti, aveva già fatto parecchi passi avanti, raccontandomi quelle cose. Ma sapete come succede sempre, no? Non ci si accontenta. Si vuole di più, sempre di più. Ed io, avida di informazioni, avida della sua voce, e, soprattutto, avida di vederlo stare un pochino meglio, grazie, almeno in parte, anche alla mia stessa persona, non riuscii a fermarmi. Mi aspettavo altre parole, altri racconti. Dal mio canto, ero pronta a fare qualsiasi cosa, praticamente, se solo... se solo me l'avesse chiesta. Ecco, vedete qual'è il problema? Sentite come diavolo sono finita a parlare? Me ne vergogno immensamente da sola, quindi fate un po' voi...!
In ogni caso, va bene, lo ammetto. Ero decisamente sulle spine e il suo silenzio di certo non aiutava. Sondavo ogni sua espressione in cerca di qualcosa, tentando di trarre conclusioni forse un po' troppo affrettate. Insomma, qualsiasi scusa era buona per pensare, pensare e pensare ancora. Ecco che distendeva appena la fronte, ecco che arricciava le labbra in una delle sue assurde espressioni, ecco che i suoi occhi chiari si facevano più o meno brillanti... ogni suo cambiamento, anche le cose più piccole, finivano per attirare la mia attenzione. Quel silenzio, però, cominciava a farsi pesante. Non avevo esagerato stavolta, ne ero sicura! Avevo semplicemente espresso quello che sentivo. Ma allora... perché?
Strinsi le labbra, tra il preoccupato e il deluso, non sapendo cosa fare. Non stava a me parlare, non... all'improvviso mi convinsi di una sua ormai vicina mossa. Dovevo smetterla di farmi dei problemi! Stava per... cos'era quel rumore? Sembrava, in tutto e per tutto, la suoneria di un cellulare. Il mio non era, però, dato che uno l'avevo cacciato nella borsa prima di uscire, e due non faceva quel suono. Intorno non poteva essere, perché troppo vicino. Per un istante guardai Mark appena interrogativa, proprio un momento prima che lui si scusasse, spostando in fretta lo sguardo e l'attenzione sul... sul cellulare, già.
Per l'ennesima volta, nel giro di pochi minuti, finii per sentirmi contrariata ed infastidita. Ne avevo tutto il diritto! Stavamo facendo un discorso serio, lo stavo persino consolando... ma lui si faceva distrarre da quell'aggeggio! Chiunque fosse, doveva lasciar perdere, aspettando che finissimo. No, non stavo esagerando! Mi sentivo... ferita, d'accordo? O messa da parte, come volete. Chiunque ci fosse dall'altra parte di quel telefono, evidentemente, doveva essere più importante di me. Stavo per commentare, tornando alla mia solita acidità, quando accade. Fino a quel momento le espressioni di Mark avevano attraversato tutta la gamma della tristezza e dell'insoddisfazione. Adesso, nemmeno un istante dopo quella faccia da patibolo, sorrideva. Esatto. Sorrideva guardando quello stupido schermo.
Bastò un istante, quindi, per far crollare anche la battutina pungente ed indispettita che stavo per fare. In un attimo mi sentii schiacciata da quell'ovvia realtà. Non c'era nulla che potessi fare. Non ero... non ero nessuno. Interdetta, rimasi immobile per qualche secondo, allontanando solo lo sguardo da lui. Dovevo reagire, però, e che cazzo! Invece, come una vera codarda, decisi di alzarmi. Esitai solo per qualche secondo, incerta se dire qualcosa o meno. Vederlo nuovamente sorridere, però, fu una pugnalata. Si stava divertendo, no? Era contento. Bene. Benissimo! Cosa poteva mai importargli se me ne andavo?
Avendo deciso per il silenzio, mi avviai verso il bancone, per ordinare qualcosa. In fondo sono pur sempre una persona educata. Per quanto incazzata -no, non ho alcuna intenzione di aggiungere altri stati d'animo a questo, mi dispiace!-, non mi sarei nemmeno azzardata ad andarmene così, per una questione tanto... marginale. D'accordo, non lo era affatto, ma non avevo intenzione di interromperlo. Avrei fatto qualcosa, questo era certo. Dovevo solo pensarci un po' su. E poi, paradossalmente, continuavo a sentirmi in ansia per lui. Insomma, una parte di me desiderava ancora aiutarlo, per quanto... per quanto, adesso, mi sentissi un po' abbacchiata.
“Due cioccolate calde. Con panna. E non dimenticare i biscotti!” bofonchiai al barista, una volta arrivata al bancone. Volevo impormi di rimanere lì, impassibile, fino a quando non avesse finito. Non volevo girarmi, non volevo guardarlo. Eppure, pur sapendo che, di certo, non si era nemmeno accorto della mia assenza, dato quant'era preso da quel maledetto aggeggio, e, soprattutto, dalla persona dell'altra parte, non riuscii a non sentirmi esposta. Per non parlare della tentazione, che, lo ammetto, mi vinse. Con discrezione, quindi, finii per voltarmi, appena, ad osservarlo. Esattamente come avevo immaginato. Fissava ancora il cellulare, e, anzi, ancora sorrideva, persino. Tornai a voltarmi, stavolta con fare più macchinoso. Le farfalle nel mio stomaco si erano trasformate in pietre.
“Due cioccolate con molta panna ed abbondanti biscotti!” La voce scherzosa del barista reclamò la mia attenzione. Mi rassicurò sul pagare anche all'uscita, lasciandomi sola con un vassoio ben imbandito. Perfetto. Lo afferrai, cercando di essere il più sicura possibile,e feci per tornare a sedermi. Mmh, accidentalmente quella cioccolata bollente poteva finire in testa a Mark... ed anche sul suo cellulare!